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Energia solo da rinnovabili: tutto bello, ma lo stoccaggio stagionale?

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stoccaggio stagionale

Energia solo da rinnovabili? Un sogno possibile solo risolvendo il nodo dello stoccaggio stagionale.

Nel precedente articolo, basandoci sullo studio realizzato dal CNR e Aspo Italia intitolato “Verso un sistema energetico italiano basato sulle fonti rinnovabili”, avevamo analizzato le conseguenze per il sistema elettrico se si realizzasse una transizione elettrica totale e decarbonizzata.

I problemi dell’Italia “net zero”

  • Quindi elettrificazione dei consumi (pompe di calore al posto delle caldaie a gas, auto elettriche al posto di quelle a idrocarburi, idrogeno e/combustibili di sintesi green per navi e aerei, ecc…) e tutta l’energia elettrica richiesta fosse prodotta interamente da fonti rinnovabili (escludendo quindi anche un base-load nucleare). In pratica, la totale fuoruscita dal fossile.

    In tale scenario avremmo due problemi:
  • stabilire la quantità di energia totale necessaria e con quale mix di rinnovabili produrla;
  • come risolvere il problema dell’intermittenza giornaliera e stagionale delle fonti rinnovabili.

 

Per il primo dei due problemi, analizzando i flussi attuali di energia primaria e le necessità dei servizi finali si è calcolato un fabbisogno annuo di 700 TWh (terawattora). Per avere un riferimento, oggi in Italia si consumano poco più di 300 TWh (di cui circa 120 TWh da rinnovabili).

La notevole quota in più di energia necessaria si ipotizza deriverà per il 75% da FV e il 25% da eolico, ricalcando il mix che si sta delineando oggi in Italia e che vede una crescita del solare preponderante rispetto a tutte le FER (e questa non è un dato
positivo, ne riparleremo). Per essere molto prudenti, non si prendono in considerazione incrementi di geotermico e idroelettrico rispetto ad oggi, per quanto sempre possibili.

700 TWh, da produrre e “dosare”

Dunque, si dovrebbe coprire un fabbisogno di 700 TWh con fonti tutte rinnovabili. E già questo non è poca cosa. Ma il problema principale è il secondo: non basta riuscire a produrre tutta questa energia richiesta “in qualsiasi modo”. Bisogna renderla disponibile “dosata” in ognuna delle 8760 ore di un anno per soddisfare la domanda che varia continuamente tra le ore del giorno e tra i giorni dell’anno.

E la brutta notizia è che, in un sistema basato principalmente sul fotovoltaico, i cicli di consumo e di produzione sono parecchio sfasati. Di giorno si produce il massimo dell’energia ma tipicamente il picco si verifica nelle ore serali e mattutine (e anche la notte resterebbe scoperta). E soprattutto si produce molto più in estate che d’inverno, quando proprio nei mesi freddi è massima la richiesta di quell’energia termica che oggi è fornita da miliardi di metri cubi di metano divorato per riscaldare le nostre case e i nostri uffici.

E che domani, ad elettrificazione completata, dovrà arrivare tutta da energia elettrica.

Sovradimensionare la produzione non è sufficiente. Gli studiosi hanno ipotizzato di disporre di 6 ore di capacità di batterie (al litio o altro) per far fronte alla variabilità giorno-notte. Sono circa 8 kWh per italiano, in totale 480 GWh, certo non poca roba, in aggiunta ai 100 GWh medi già oggi disponibili da idropompaggio.

Quindi procedono a simulare questo scenario supponiamo di aumentando la capacità produttiva al 150% del fabbisogno (cioè il 50% in più), ovviamente tutta da FER, passando da 700 TWh a 1050 TWh annui (una enormità) per vedere se questa extra-produzione riesce a coprire i momenti più critici.

Il risultato delle simulazioni in tale scenario risulta ancora molto negativo: non si riescono ad eliminare gli ammanchi invernali e nemmeno quelli delle mezze stagioni.

Il grafico seguente mostra la situazione in quattro settimane campione, con le fasce nere che rappresentano gli ammanchi di
energia.

stoccaggio stagionale

Dunque, avremmo molte ore delle giornate invernali in blackout, al freddo e al buio. Brutta prospettiva, ovviamente inaccettabile. E anche la mezza stagione non se la passerebbe bene, con molti ammanchi nelle giornate poco ventose.

Solo poche settimane estive sarebbero coperte, ma sempre a rischio in caso di scarsità di vento. Inoltre, si avrebbe contestualmente una sovracapacità produttiva nei mesi estivi che andrebbe completamente sprecata. Il grafico sotto ci mostra in modo sintetico la situazione in questo
scenario:

Rischio blackout per 35 ore su cento

L’area gialla rappresenta la dimensione dell’ammanco di energia nell’anno calcolata non come semplice totale ma valutata su ogni singola ora. In pratica, solo il 65% delle ore dell’anno (asse orizzontale) sarebbero interamente coperte (e serve ovviamente il 100%!). E si noti come, nel momento peggiore, avremmo energia per coprire solo il 40% del fabbisogno richiesto dall’utenza (asse verticale).

Più che un sistema elettrico sarebbe un colabrodo. E anche aumentando fino ad uno spropositato 200% la produzione
elettrica, la situazione cambierebbe di poco: avremmo ancora molti ammanchi in inverno e uno spreco assurdo in estate.

Gli autori dello studio scrivono testualmente: “La conclusione sintetica che si può ricavare dagli scenari è univoca: anche sovradimensionando, al di là di ogni considerazione logica, ambientale o economica, l’installato eolico e fotovoltaico, non si può sopperire agli ammanchi invernali e vi sono problemi anche nelle altre stagioni”.

In sostanza, con il solo stoccaggio giornaliero a batteria di 6 ore, puntare a sovradimensionare la capacità produttiva FER non porta da nessuna parte.

Quindi non resta che far entrare in scena i salvatori della patria, quelli che tutti si aspettavano dall’inizio dell’articolo: i nostri eroi gli accumuli stagionali.

Già, ma quali? E quanti ne servono? Quanto costano? E quanto tempo ci vorrebbe? Calma, calma. Andiamo con ordine.

stoccaggio stagionaleEntra in scena lo stoccaggio stagionale di energia

Ricapitolando, fino a questo punto ci siamo limitati a ipotizzare l’uso di batterie per cercare di risolvere la variabilità giorno-notte e a sovradimensionare del 50% della produzione di FER (arrivando a 1050 TWh di produzione annua totale). E abbiamo visto che tutto ciò non è sufficiente per impedire gli ammanchi soprattutto invernali. E sottolineiamo di nuovo che una produzione di 1050 TWh tutti da FER è una quantità esagerata, sarebbe una sfida enorme anche in tempi più che medio-lunghi.

Nello studio si prendono anche in considerazione ipotesi di aumento dell’interscambio con i paesi limitrofi, ed altri possibili espedienti (che qua non riprendiamo). Ma i risultati migliorano di poco. Quindi, come si diceva, non ci resta che sperare nella fattibilità di un sistema di stoccaggio stagionale di energia. Sarà possibile? Incrociamo le dita e andiamo avanti.

stoccaggio stagionaleIl metano, ancora lui, ti dà una mano

I non più giovani se la ricorderanno molto bene la campagna pubblicitaria degli anni 80-90 a sostegno della metanizzazione della penisola. E a quei tempi poteva anche starci (forse ci sta molto meno OGGI parlare della medesima penisola in termini di HUB europeo del metano…ma questa è un’altra storia).

Il subhaed del famoso manifesto con il bambino recitava “l’energia pulita del futuro”. Alla luce di quanto diremo appare
un paradosso profetico. Ma come – si dirà – proprio ora che vogliamo (a parte quelli dell’HUB) congedare il metano accomodandolo cordialmente alla porta, pur con l’onore delle armi come “il meno sporco dei combustibili fossili”, lo facciamo rientrare dalla finestra?

In un certo senso sì. Ma con una differenza fondamentale, perché parliamo di metano di sintesi. L’idea proposta è infatti quella di utilizzare l’energia in eccesso delle rinnovabili per produrre idrogeno, e utilizzare questo per la sintesi del metano usando CO2 di recupero.

Con una premessa importante, sottolineata più volte dagli autori dello studio: tutte le ipotesi di seguito illustrate si basano su tecnologie già disponibili.

La lunga via del metano di sintesi

Il sistema funzionerebbe così:
1. produzione di idrogeno (H2) via elettrolisi dell’acqua usando il surplus di energia estivo;
2. sintesi del metano facendo uso dell’idrogeno sintetizzato al punto (1) e della CO2 catturata al punto (5);
3. convogliamento e stoccaggio del metano nelle infrastrutture di trasporto (tubi) e stoccaggio (serbatoi geologici) già esistenti;
4. uso del metano in centrali termoelettriche a ciclo combinato per coprire gli ammanchi invernali e in generale notturni;
5. cattura della CO2 al camino di queste centrali e, previo convogliamento in carbodotti (DA REALIZZARE)
6. suo stoccaggio sotterraneo in depositi geologici in attesa di un riutilizzo per la sintesi estiva di metano.

Nello schema qui sotto è illustrato chiaramente il funzionamento. In questo modo l’intero ciclo sarebbe carbon-neutral perché le centrali termiche userebbero il metano sintetizzato da energia rinnovabile e non estratto dal sottosuolo dove è bene che rimanga per sempre.

stoccaggio stagionale

Questo processo si chiama P2G (Power To Gas) nella prima parte, G2P (Gas To Power) nella seconda. In pratica, unendo i due, è un sistema P2G2P.

In realtà una parte dell’idrogeno potrà essere utilizzata direttamente nei settori industriali hard to abate, per il trasporto pesante e aereo-navale, anche se oggi non abbiamo ancora l’idea della direzione che prenderanno questi settori, se useranno idrogeno direttamente o indirettamente tramite carburanti sintetici, o un mix dei due. Ma questo non cambia il quadro.

In questo studio gli autori si focalizzano sul sistema di stoccaggio stagionale dell’energia, e in tal senso l’idrogeno sarebbe solo il vettore energetico utilizzato per sintetizzare metano che invece sarà il vero e proprio accumulo energetico.

E perchè non direttamente l’idrogeno?

Ma perché produrre metano e non usare direttamente l’idrogeno per lo stoccaggio energetico stagionale? Il metano è un gas che offre il vantaggio di non creare problemi tecnologici particolari per il trasporto (la rete già esiste!) e nemmeno per lo stoccaggio, dato che si userebbero infrastrutture già disponibili come i serbatoi geologici esausti.

L’idrogeno H2 invece è una molecola “antipatica”. Molto piccola e reattiva in diverse condizioni, che tende ad insinuarsi nelle pareti dei contenitori e che richiede sistemi complessi e costosi (criogenici o ad altissima pressione) per il trasporto e lo stoccaggio di lungo periodo, come quello stagionale.

In questo scenario resterebbe invece da realizzare da zero l’infrastruttura di trasporto della CO2 catturata dai camini delle centrali, che comunque userebbe per lo stoccaggio anch’essa i serbatoi geologici già disponibili.

Un elettrolizzatore: costo indicativo 1,2 milioni di euro

La tecnologia di sequestro e riutilizzo della CO2 viene definita CCR (Carbon Capture and Reusage) per distinguerla dalla CCS (Carbon Capture and Storage) che, per inciso, non è mai apparsa un’idea particolarmente geniale (se non addirittura una furbata da green-washing per continuare ad immettere CO2 fossile come prima e più di prima da parte dei soliti noti). Tuttavia adesso l’esperienza raccolta in questo campo potrebbe tornare comoda. E poi, naturalmente, servono gli elettrolizzatori per produrre l’idrogeno e i metanatori per sintetizzare il metano, di cui parleremo più avanti.

Quando il gioco si fa pesante, la chimica vince

Ma non si poteva evitare tutto questo giro per produrre alla fine il solito metano (peraltro con grandi perdite di rendimento con tutti i passaggi tra elettrolizzatori, metanatori, compressori per lo stoccaggio)?
Non si poteva trovare qualche altro sistema di accumulo più smart, ad esempio grandi pacchi batteria? La risposta, ad oggi, è no. Quando parliamo di stoccare energia, la chimica al momento non ha rivali: grande energia specifica, pochi problemi di stoccaggio fisico, stabilità nel tempo e costi (considerando tutto) inferiori.

Pensiamo al confronto tra lo stoccaggio con idrocarburi e batterie. Prendendo una batteria di una BEV di 50 KWh: mezza tonnellata di tecnologia sofisticatissima e un costo di qualche migliaio di euro per contenere la stessa energia di poco più di 5 litri di benzina che puoi conservare in una tanichetta da pochi
euro.

Decisamente gli elettroni non amano stare fermi! Anche i grandi impianti di storage a batterie, di cui si legge spesso, sono in grado di fornire potenze importanti ma solo per poche ore (tipicamente per il ciclo diurno), quindi pensare di realizzare accumuli elettrochimici dell’ordine dei terawattora è al momento fuori portata.

L’idroelettrico aiuta, ma non basta

Va bene, ma in Italia noi abbiamo tanti bellissimi e grandissimi bacini idroelettrici! Sì, certo, ma tutti i bacini idroelettrici in Italia oggi possono stoccare in totale 2-3 TWh di energia.

La metà della produzione idroelettrica proviene da impianti ad acqua fluente, con piccoli bacini di un paio d’ore di capacità. Quindi ben poco utili allo scopo di stoccaggio stagionale.

L’altra metà dispone di bacini più generosi che, se sfruttati al massimo con interventi di ottimizzazione, secondo gli autori dello studio, potrebbero arrivare al massimo a 5 TWh. Quindi un certo contributo lo fornirebbero, ma siamo ancora lontani da quel che serve.

Infine le centrali di idrompaggio a doppio bacino non si prestano per un accumulo stagionale. Sono state concepite per il ciclo giorno-notte quindi con una capacità poco significativa per i nostri scopi.

Difficile ipotizzare nei prossimi decenni la costruzione di ulteriori bacini di grandi dimensioni: come detto, si cerca di fare conti su quello che c’è, o che si può ragionevolmente pensare di fare, restando il più possibile con i piedi per terra.

Il metano, dove lo mettiamo?

D’accordo, allora vada per il metano di sintesi con il sistema P2G2P. Ma, prima di tutto, quanti metri cubi di metano servirebbero per questo benedetto stoccaggio stagionale?

Per rispondere a questa domanda gli autori dello studio fanno un’ipotesi “al contrario”, molto cautelativa. Invece di calcolare quanta energia servirebbe per garantire la copertura stagionale, tradurla in metri cubi di metano e poi vedere dove e come
e “forse” potrebbero essere stoccati, partono dalle certezze. Cioè dalla capacità fisica dei giacimenti esauriti già oggi disponibili per l’accumulo. Questi saranno usati sia per il metano di sintesi sia per la CO2 sequestrata.

Successivamente, con le simulazioni, si andrà a vedere se questa capacità basterà a coprire gli ammanchi che avevamo visto precedentemente senza gli accumuli stagionali.

Il volume totale di questi giacimenti vuoti ammonta a 13 miliardi di metri cubi, distribuiti su una dozzina di siti. Per dare l’idea, il consumo di gas in Italia negli ultimi anni oscilla tra i 60 e i 70 mld di mc all’anno.

Inoltre si assume, sempre per non fare ipotesi che non siano basate su asset certi, che tale capacità di stoccaggio stagionale non sia incrementabile, anche se è certo che in realtà vi siano giacimenti esauriti già utilizzabili.

Si ipotizza infine che i volumi disponibili siano divisi al 50% fra metano di sintesi e CO2 catturata dai fumi delle centrali termo-elettriche.

In base a questa ipotesi sarebbero stoccabili 6,5 miliardi di metri cubi di metano per l’accumulo stagionale che, considerando il potere calorifico del metano pari a 10 kWh/m3, e un rendimento del 45% delle centrali turbogas a ciclo combinato con cattura di CO2, corrispondono ad una quantità di energia elettrica immagazzinata di 30 TWh.

Questo numero, rappresenta un decimo dell’attuale produzione annuale, e potrebbe sembrare poco, ma attenzione: stiamo parlando di stoccaggio di energia, non di energia che scorre istantaneamente dal produttore al consumatore, com’è nella natura degli elettroni che, come abbiamo detto, non amano stare fermi da nessuna parte.

L’alternativa nucleare non costa meno

Con gli accumuli stagionali, siamo a posto? Disponiamo ora di un magnifico sistema P2G2P che, abbiamo visto prima, secondo gli autori è l’unico vero sistema di stoccaggio con le spalle abbastanza robuste per garantire la continuità elettrica.

La tabella che segue riassume i dati dello scenario ipotizzato, dove si evidenziano i 30 TWh di energia stoccabile nei depositi geologici e le necessità in termini di elettrolizzatori e metanatori per implementare il sistema P2G2P.

Come si vede, servirebbero 25 mila elettrolizzatori da 5,3 MW e 17 mila metanatori da 6W. Tanta roba. E, considerato il costo di circa 1,2 milioni di euro di un elettrolizzatore (non ho dati sul costo metanatori) sono anche tanti soldi (30 miliardi di euro circa), pur considerando che le economie di scala andrebbero a ridurli di molto se dovesse realizzarsi questo scenario.

Ma se l’alternativa green è rappresentata dal nucleare, anche questa soluzione non costerebbe quattro soldi (e infatti di nuovi investimenti nel mondo se ne vedono pochi).

Lascio in ogni caso al lettore dotato di calcolatrice e adeguato bagaglio culturale il divertimento di fare conti e confronti districandosi tra LCAE, esternalità e via discorrendo.

Auguri. E torniamo al cuore del problema che stavamo esaminando: nello scenario di cui sopra, con 30 TWh di accumuli stagionali e tutte quel che serve per il P2G2P, ce la facciamo finalmente a coprire tutte le ore del giorno e soprattutto le notti invernali più buie e non-tempestose (cioè, senza vento)? Lo vedremo nella terza e ultima parte dell’articolo.

(2-segue)

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Apri commenti

21 COMMENTI

  1. dov’è la terza parte?

    Questo è con ogni probabilità il post più coerente e sensato che abbia mai letto su vaielettrico, per una volta devo farvi i miei complimenti anziché la solita polemica contraddittoria.

    Però non a caso lo stoccaggio stagionale si traduce nel produrre metano e usare bacini di stoccaggio attualmente esistenti (io da nullità che sono ho sempre sostenuto l’idrogeno da idrolisi .. ma vabbè poco cambia nella sostanza)

    A sto punto perché auto elettriche e non a E-metano? non sarebbero più economiche da un punto di vista costruttivo?

  2. Questo è un articolo molto ben fatto, pieno zeppo di dati e numeri, e io credo che chi l’ha scritto sia una persona veramente esperta e illuminata in questo argomento, ma…
    Ma io vorrei fare una domanda, se posso.
    È davvero impossibile cambiare le abitudini di un essere umano? In questo momento storico vediamo quanto sia difficile l’accettazione del cambiamento climatico, come dato di fatto, e l’adozione delle auto elettriche, ad esempio.
    Per quanto riguarda il ciclo giorno/notte, non sarebbe pensabile spostare i carichi più consistenti durante le ore di sole?
    E, come ha già scritto qualcuno, non è possibile che più persone, famiglie, comunità, paesi, città, ecc. diventino “responsabili” dell’energia che consumano e producono (vedi le comunità energetiche)? Io ad esempio potrei essere quasi autosufficiente, abitando in una casa di campagna di proprietà.
    E se invece di pensare a pareggiare tutti i conti, entrate/uscite, ci si facesse carico dei propri bisogni, consumi e si cercasse un altro tipo di soluzione?
    Scusate la mia ingenuità, credo ancora nelle possibilità di adattamento e nell’ingegno degli esseri umani…

    • la vedo ardua.
      il grosso dei consumi viene dal comparto industriale , non dal domestico.

      aumentare il consumo domestico diurno significherebbe lavorare la notte.. e si tradurrebbe in un carico energetico ancora maggiore.
      unica possibilità sarebbe (lo è già) programmando elettrodomestici energivori quali lavatrici e similari nelle ore di maggior produzione..
      ci vuole poco.. attualmente non è fattibile in quanto i kwh diurni sono in F1 .. quindi pagati di più di quelli serali e mattutini..

      quando elettricità diurna costerà meno di quella serale molti lo faranno..

  3. Ma l’accumulo gravitazionale (Energy Vault) entrato in funzione in Cina
    l’accumulo per compressione di co2 (Energy dome) impianto prova in sardegna rifinanziato da Bill Gates

    accumulo termico batterie a sabbia

    un po di biogas perché no
    , biometano o metano green ,magari usato con accortezza con coogeneratori recuperando anche il calore per il teleriscaldamento
    abbiamo fogne da depurare e l’umido dell’immondizia per produrlo e accumularlo durante l’estate, diventa accumulo stagionale pure quello

    inoltre confido nell’alleggerimento dei carichi della rete da molti privati
    che consumeranno energia pubblica in minima parte

    all’appello manca
    il geotermico , è stato inventato in italia più di un secolo fa
    oggi va di moda in nord Europa e e in Nevada USA (google)
    anche questo è bivalente nel periodo invernale

    imho gli ingredienti per Zero emission ci sono tutti
    l’informatica c’è ,le telecomunicazoni pure , la fibra ottica costa un’inezia rispetto al rame

    cosa manca ?

    un piano energetico PUBBLICO nazionale
    che liberi i piccoli privati fino a 200 kW
    e impegni le compagnie a “patecipazione”statale un decennio
    per portare il paese almeno ai livelli dei paesi Iberici
    magari meglio

    legge sui parcheggi fotovoltaci con accumulo chimico e colonnine di ricarica
    sul modello Francese migliorato , obbligatori

    spingere sui materiali per isolamento facili adatti al fai-da-te
    a prezzi economici , iva ridotta ecc..

    basta bonus
    c’è solo da lavorare

  4. Come si può verificare sul sito dell’ ENEL, l’ energia geotermica è senza emissioni, disponibile con continuità, disponibile ovunque, già oggi fornisce qualche percento del fabbisogno elettrico, e possiede un potenziale estraibile e sfruttabile pari a 20/30 volte il fabbisogno elettrico annuo. Secondo uno studio del MIT del 2006, potrebbe fornire energia verde al pianeta per 4000 anni. Questo per me dovrebbe chiudere qualunque altro discorso e indirizzare in questa direzione gli investimenti. C’è da chiedersi per quali interessi non viene fatto, e neppure pubblicizzato

    • per favore, non fare confusione.
      Il geotermico adatto a ottenere energia elettrica non è affatto “disponibile ovunque”.
      Se si vuole scaldare casa è un conto, ma per far bollire acqua per far girare una turbina serve un gradiente geotermico bello alto, altrimenti bisognerebbe scavare in profondità per chilometri e i costi diventerebbero stellari.

      Spesso ci sono spiegazioni più razionali rispetto agli “interessi nascosti”

  5. Ancorché l’intero articolo è ben impostato nelle valutazioni tecniche, alcune da rifare perché mi sembrano approssimate per eccesso, la presentazione dei titoli da al lettore che non ha le necessarie competenze tecniche e non ha voglia di leggere tutto l’articolo l’impressione che le
    Rinnovabili alla fin fine non funzionano e bisogna rassegnarsi all’ utilizzo dei fossili o del nucleare.
    Uno studio del genere lo feci 13 anni fa’.
    In questo articolo si sono sottovalutate le potenzialità dei sistemi di pompaggio idroelettrico, che è vero che attualmente fanno poco, ma perché abbandonati a favore dei turbogas. Se invece ristrutturati e potenziati possono dare di più.
    Poi, proprio come segnalato da un commentatore, non si è tenuto conto dell’enorme potenzialità dei sistemi a biomassa attualmente utilizzati pochissimo. La biomassa è accumulabile utilizzabile anche tramite gassificazione al momento della necessità.
    Poi, errore fondamentale, si è ritenuto di non considerare lo sviluppo della geotermia ad alta entalpia a ciclo chiuso.
    Io a suo tempo invece avevo posto come base per giungere alla totale indipendenza dai fossili, un forte incremento della geotermia, in particolare i sistemi geotermoelettrici a ciclo chiuso, per i quali avevo stimato la realizzazione di 20 Gigawatt in 20 anni. Non fare il getermoelettrico equivale a fare ciò che vogliono le lobby dei fossili, che li hanno sempre ostacolati più di ogni altra fonte, perché è in realtà la più affidabile e la più continua in assoluto.
    Comunque bisogna ricordare che le centrali termoelettriche a combustibili fossili possono funzionare con continuità solo perché sono stati fatte tutte le costosissime mega strutture per garantire la continuità di alimentazione dei combustibili, partendo dai pozzi, oleodotti, metanodotti, petroliere, metaniere, megaserbatoi etc., e per quanto possano costare i sistemi di accumulo per sistema tutto a rinnovabili, costerà sempre di meno di quanto ci sono costati e continuano a costare tutta la filiera fei fossili

  6. La soluzione al problema della discontinuità delle FER sono i piccoli impianti di pirolisi di biomasse secche, che producono gas combustibile da usare per CV o generazione, 8670 ore l’anno, non hanno emissioni, stoccano parte di CO2 sotto forma di biochar, non hanno emissioni se non la CO2 di ciclo breve diminuita. Occupano poco suolo, e richiedono pochissima movimentazione di biomassa, circa 1,2 kg di biomassa per 1 kW elettrico e 2 di calore. Lo dico con cognizione di causa in quanto ho partecipato a delle progettazioni di moduli da 40/50 kW.el.

    • in Germania hanno un importante 4,6 GW di potenza costante tutto l’anno sotto la voce “biomassa”, e sarei curioso di sapere di cosa è composta più in dettaglio questa voce

  7. Nel passaggio in cui si parla della chimica come vantaggiosa si dice che un 50kw di batteria corrispondono a pochi litri di benzina.
    Chimicamente e’ giusto. Ma poi la potenza della benzina per diventare elettricità ha una dispersione dell’80*100. Giusto per dire.
    Per il resto mi trovo con tutto.
    Produrre con la sovrapproduzione un vettore da usare di notte ed in inverno. Anche l idea di usare il metano prodotto dall’idrogeno verde.

    • E se invece di accumulare energia elettrica la scambiamo? Nel senso che ogni paese che produce energia condivide il surplus. Esempio: la notte prendiamo energia prodotta in korea quando là è giorno e viceversa. Tanto non bisogna trasportarla via nave, bastano i cavi ed arriva immediatamente. Così come d’ inverno si utilizza più che altro corrente prodotta nell’emisfero sud, e viceversa. Si paga la differenza con un conguaglio di tanto in tanto. Certo che se ogni paese deve pensare al proprio accumulo servono enormi accumulatori. Con la condivisione energetica a livello mondiale una volta arrivati soddisfare il fabbisogno la necessità di accumulare é minima.

      • Non credo sia così facile spedire elettricità dall’altra parte del mondo, anche avessimo i cablaggi per farlo. I cavi offrono comunque resistenza, per quanto possa essere ottimizzata, e oltre certe distanze si avrebbero dispersioni eccessive. Al massimo la potremmo scambiare coi Paesi vicini, che però vivendo tutti nello stesso fuso orario avrebbero tutti la nostra stessa alternanza giorno/notte.

      • al momento pare sia conveniente spostare l’elettricità sino a 4000 km,
        per ora la solar belt-mondiale completa non c’è ancora 🙂
        ma l’asticella è stata alzata convertendo/ampliando gli elettrodotti con cavi interrati o sottomarini del tipo HighVoltage-DC

        già noti da decenni, ora stanno diventando di uso comune;
        mi pare perdite 3% ogni 1000 km, più le perdire ad ogni stazione di conversione voltaggio o AC-DC (a spanne ogni conversione sottrae 2%)

        qualcosa si muove, ad es. in Europa con il progetto Hyper-grid, che tende ad aumenatare la capacità di scambio tra le nazioni, sia lato tecnica che immagino gestionale (bilanciamento carichi e fatturazioni); Spagna e Portogallo per esempio vogliono diventare esportatori di energia rinnovabile

        uno studio del 2024 sugli scenari 100% rinnovabili in europa, cioè realizzato solo qualche anno dopo questo di Aspo, ipotizza che l’Italia, se sarà lenta a dotarsi di rinnovabili (se eolico off-shore non decollasse), in Inverno potrebbe importarne quote dall’estero, e magari esportare un po’ di solare in estate

      • In effetti , abbiamo scambiato energia elettrica nucleare con la Francia
        per pompare acqua nei bacini superiori per molti decenni ,
        quando loro non sapevano cosa farci di notte .e l’avrebbero sprecata..

        potremmo continuare a farlo tra regioni e nazioni con le rinnovabili

        no.-watt permettendo

        l’UE ha in programma l’ammodernamento della rete Europea
        lo stesso Terna per quella italiana

        no-watt permettendo

  8. Io continuo a immaginare che l’ammoniaca sia un vettore migliore rispetto al metano, perché ti libera dal problema della gestione della CO2 che sia come cattura che come stoccaggio mi sembra che sia la tecnologia meno matura del ciclo di vita ipotizzato.
    L’ammoniaca ha un problema di sicurezza da gestire ma è già una tecnologia utilizzata e matura.

  9. @Ing. o Redazione
    errore di stampa nell’ultimo paragrafo

    – costo totale elettrolizzatori
    1,2 milioni x 25.000 unità = 30 miliardi

    – mentre al 2° paragrafo, accumuli giornalieri,
    ricordavo (?) 480 GWh netti ( 530 lordi) totali,
    cioè compresi i 100 GWh di sistemi idrolettrici già presenti

  10. mettersi un fotovoltaico con accumulo in casa mi sembra una buona alternativa . avendolo tutte le case si ridurrebbe la quota di energia necessaria a livellare i momenti di magra . il costo ? 20.000 euro o 200 euro mese per 10 anni , proprio come la bolletta .

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