Emissioni CO2, in diminuzione solo nella Ue: le regole di Bruxelles funzionano

Le emissioni globali di gas serra hanno toccato un nuovo record nel 2024, raggiungendo 53,2 gigatonnellate di CO₂ equivalente, con un aumento dell’1,3% rispetto al 2023. Tutti i continenti hanno aumentato le loro emissioni inquinanti ad eccezione dell’Europa che la ha diminuite dell’1,8%, ma continuando ancora a crescere economicamente.

L’Unione europea si conferma tra i pochissimi attori a livello globale che riescono a coniugare sviluppo e sostenibilità. La conferma arriva dall’annuale rapporto “GHG Emissions of all World Countries 2025” realizzato dal Joint Research Centre della Commissione europea, fotografa un pianeta che continua a bruciare combustibili fossili a ritmi insostenibili. Ma da cui emerge il ruolo trainante dell’Europa.

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Un risultato che spiega molto bene quanto accaduto finora, ma anche un ammonimento per quanto potrebbe accadere nei prossimi anni. Il fatto che l’Unione europea sia l’unica macrozona in cui le emissioni calano premiano le regole di Bruxelles. Finora hanno indicato in modo chiaro la strada da percorrere per la riduzione delle emissioni, ma allo stesso tempo per costruire processi industriali sostenibili e più efficienti.

In caso di passi indietro, come chiedono le case automobilistiche sul passaggio all’auto elettrico, il rischio di passi indietro è dietro l’angolo. Un recentissimo rapporto del think tank Trasport&Environment rivela come “lo slittamento di due anni sul raggiungimento degli obiettivi UE di riduzione delle emissioni, inizialmente previsti per la sola annualità 2025, permetterà alle case automobilistiche di rallentare il passo sulla decarbonizzazione delle loro flotte. E porterà – tra il 2025 e il 2027 – a una riduzione nelle vendite di auto elettriche di 2 milioni di unità, rispetto a quanto sarebbe avvenuto mantenendo inalterata la normativa“.

Una centrale a carbone in Cina

I colossi mondiali delle emissioni: Usa, Cina e India. L’aumento netto delle emissioni globali nel 2024 è pari a quelle totali della Germania

La concentrazione delle emissioni resta nelle mani di pochi grandi Paesi. Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea, Russia e Indonesia generano oltre il 60% delle emissioni globali. Insieme, ospitano più della metà della popolazione mondiale, producono il 62,5% del PIL globale e consumano due terzi dei combustibili fossili. Solo nel 2024, l’aumento netto delle emissioni globali – pari a 665 milioni di tonnellate – equivale alle emissioni annuali di un Paese industriale come la Germania.

Tra questi giganti, spicca il ruolo delle economie emergenti: l’Indonesia ha registrato un +5%, l’India un +3,9% e la Russia un +2,5%. Stati Uniti e Cina, pur restando i primi due emettitori mondiali, hanno mostrato variazioni quasi nulle (+0,4% e +0,8%).

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Diverso il quadro europeo, che nel 2024 ha ridotto le emissioni del -1,8%, portando la sua quota sul totale mondiale al 5,9% (contro il 6,1% del 2023). È un risultato che acquista ulteriore valore se letto nella prospettiva di lungo periodo: dal 1990 a oggi, l’UE ha tagliato il 35% delle proprie emissioni, un primato che la colloca tra i leader mondiali della transizione ecologica.

Il merito va distribuito tra quasi tutti i Paesi membri: l’Italia ha registrato un calo dell’1,94% nel 2024, mentre la Germania resta il primo emettitore europeo con l’1,27% del totale mondiale, seguita da Francia (0,71%), Italia (0,7%), Polonia (0,65%) e Spagna (0,54%). Ma ciò che conta è la tendenza comune a ridurre, segno che le politiche comunitarie stanno producendo risultati concreti. L’Italia potrebbe però fare un passo indietro, visto che le emissioni sono tornate a salire nel primo semestre del 2025.

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Non tutto, però, è positivo. In Europa, i settori dei trasporti e degli edifici privati hanno visto crescere le emissioni, segnalando resistenze strutturali al cambiamento. All’opposto, il comparto elettrico ha brillato con un calo dell’8,5%, grazie alla diffusione delle rinnovabili e al declino del carbone, mentre l’estrazione di combustibili fossili ha segnato un -1,9%. È la prova che la decarbonizzazione può essere rapida ed efficace quando sostenuta da investimenti e regole chiare.

Il concetto chiave che emerge dal dossier è quello di “decoupling”: la capacità di separare la crescita economica dall’aumento delle emissioni. L’Unione Europea, infatti, ha visto crescere il proprio PIL negli ultimi decenni mentre le emissioni scendevano. Una dinamica rara, condivisa solo da Stati Uniti, Russia e Giappone, che però non hanno raggiunto lo stesso livello di coerenza nelle politiche climatiche.

Visualizza commenti (9)
  1. non è così peregrina l’idea di demandare alla Cina, leader incontrastato delle rinnovabili, buona parte della manifattura mondiale. A tendere andrebbe prodotto tutto là in maniera pulita, efficiente ed economica, all’Europa rimarrebbe il terziario.
    Perchè ostinarsi a convertire le acciaierie nostrane quando i cinesi la possono costruire nativamente low emission?

    1. un esempio:
      alcuni anni fa per produrre e riciclare 1 KW di pannelli solari venivano emessi in media 700 Kg Co2 in Cina e 600-500 kg Co2 in Europa;
      in Europa fu creata una certificazione per pannelli “low carbon” entro la soglia di 550 Kg, tuttora usata, per premiare le migliori (ma costose) tra le produzioni europee nelle aste pubbliche e tagliare fuori quelle Cinesi

      ..ma oggi in Cina i grossi brand che fanno ed esportano pannelli solari sono già scesi a circa 440 kg Co2 (o anche meno a seconda del brand e modello) e battono molte produzioni europee anche sulla Co2, non solo su prezzo e resa del pannello; un singolo brand cinese produce in un anno 100 Giga-Watt di pannelli, più di tutta europa, ha economie di scala e anche ricerca pura su una scala che noi non abbiamo

      ..volendo in Europa ora esiste anche una nuova certificazione diciamo “ultra low carbon” con soglia abbassata a 200 kg Co2, ma per ora credo poco usata e raggiunta solo da qualche modello Cinese ed Europeo

      ==== il punto è che convengono comunque, da ovunque provengano

      faccio un conto della serva
      – 1 KW di pannelli ha una resa annua in Italia di 1100-1750 KW-h
      – pannelli recenti tipo-n con durata minima 30 anni e con basso degrado nel tempo (resa 93% a 15 anni; resa garantita 87-88% a 30 anni)
      – 1 KW di pannelli (2 pannelli da 500 watt) nel loro ciclo di vita produrranno (30 anni) x (93%)x (1400 KWh annui)= 39.060 KW-h

      se divido le emissioni di Co2 per fabbricare e riciclare 1 KW di pannelli (440 kg Co2) per l’energia che produrranno (39.060 KWh) ottengo:

      11 gr Co2 per KW-h prodotto, emissioni dovute ai soli pannelli ftv
      + circa altrettanti gr CO2 emissioni per le altre parti dell’impianto ftv

      totali circa 22 gr Co2 al KW-h, siamo a emissioni praticamente zero;
      se per fabbricarli avessero emesso non 440 ma 700 kg Co2 come qualche anno fa, sarebbero lo stesso stati un affare, ambientalmente parlando

      se 39.060 KW-h li facessi con il metano (450 gr Co2 a KW-h), avrei emissioni di 17,6 tonnellate Co2
      –> 40 volte! di più rispetto ai pannelli
      –> 20 volte! di più rispetto all’impianto ftv completo

      lo stesso ragionamento si può fare per le celle batteria o le turbine eoliche o le auto elettriche, meglio se prodotte in europa, ma anche se non fosse c’è poco da cavillare ai fini delle emissioni evitabili di co2 (e anche dei soldi risparmiabili non usando più combustibili fossili), sono un affare e la priorità diventa averne molte e il prima possibile, e allora anche un costo di investimento iniziale più basso possibile conta, ben venga se possiamo scegliere anche le produzioni cinesi

      e no, il trasporto via nave non incide granchè sul totale delle emissioni, per i pannelli solari leggevo incide un trascurabile 2-3% sul totale, mentre su una BEV qualcosa di più

      “poter scegliere” intendo teniamoci per motivi strategici e occupazionali una piccola e più costosa quota protetta europea per es. di pannelli solari (costano 2-2,5 volte quelli cinesi), ma il grosso aquistiamolo senza problemi dai migliori, cosi’ intanto ci liberiamo presto dalle importazioni ed emissioni fossili

  2. Delle emissioni di Co2 e del riscaldamento climatico importa (purtroppo) poco, come esseri umani collaboriamo solo sino a un certo punto, spesso prevale la competizione fatta anche a danno del vicino;
    inoltre prevale il “qui e oggi”, ragionare di quanto peso abbiano scelte odierne sulla situazione tra 20 o 40 anni è una astrazione difficile da fare mentre come famiglie ci si occupa dei problemi quotidiani, e ora come nazioni anche dei venti di guerra

    allora meglio ragionare di soldi e a breve termine: sostituendo gli attuali combustibili fossili (che l’europa importa) con rinnovabili ed elettrificazione dei servizi, andiamo a risparmiare soldi e a liberarsi di spiacevoli compromessi e dipendenze in politica estera

    quindi chi rema contro alla transizione energetica nel suo paese con qualche scusa, secondo me si sta sparando sui piedi mentre si illude di stare fregando il vicino

    ma se invece si volesse discutere proprio di emissioni Co2,
    faccio notare che il ragionamento “ma l’altro Paese cosa fa lui per le emissioni?” in questo caso è ingannevole:

    avremo un riscaldamento globale di circa +0,1 gradi Celsius (+0,2 in area mediterraneo) ogni 200 Giga-Tonnellate di Co2 emesse, che ai ritmi attuali sarebbero le emissioni globali di 4 anni

    ogni +0,1 gradi corrisponde a un certo danno economico che sarà poi permanente forse per vari secoli; in europa potremmo decidere che ci convenga evitare tot Giga-Tonn di nostre emissioni nei prossimi anni; a questo corrisponde evitare un certo danno economico futuro (in tutto il mondo, ma anche da noi) proporzionale all’incremento evitato

    l’entità del danno legato alle nostre azioni non dipende da cosa faranno gli altri; che gli altri Paesi causino +0,5 oppure +2 °C, noi staremmo valutando se con le nostre emissioni aggiungere o meno un altro ulteriore incremento di temperatura e relativi danni economici aggiuntivi

  3. Bene! Dobbiamo essere un esempio! Non capisco quelli che dicono “eh, ma tutti emettono e noi siamo gli unici a fare leggi per ridurre le emissioni”. “Ma certo!” dico io. Noi non dobbiamo guardare il peggiore, dobbiamo guardare il migliore o esserlo noi!

  4. Diminuiamo le emissioni qui, e poi andiamo a produrre dove si puo’ inquinare a piacere…..
    Molto sostenibile…..

    1. Buongiorno Franco,
      non saprei per India e Indonesia, forse ancora in fase più “disordinata”

      mentre per la Cina consideri che molte fabbriche di prodotti tecnologici (cioè non il tavolino di plastica venduto su Aliexpress) pubblicano ogni anno i Report di sostenibilità con i calcoli degli impatti ambientali per realizzare i loro prodotti, certificati da enti di controllo;

      lo stesso governo centrale sta ora spingendo sul premiare le certificazioni di qualità, dopo che negli anni passati hanno già lavorato sull’abbassare i costi

      queste certificazioni sono procedure analoga alle nostre.. anche i risultati di impatto ambientale delle fabbriche sembrano “europei”, anzi in molti casi sembrano più efficenti loro

      rimangono “sporchi”, se non in emissioni di Co2, in altri parametri ambientali, i processi minerari, ma direi mai quanto quelli dell’estrazione petrolifera tradizionale (o anche peggio estrazione via fracking, praticamente una follia per come devasta il territorio)

      1. Gli enti di controllo delle certificazioni, sono pagati da chi deve essere certificato. Funziona così in tutto il mondo, e lo so perché sono nel settore, lavorando in una azienda certificata. Penso davvero che quei report e certificati siano affidabili?

        1. considera che una certificazione valida in europa, viene ripetuta da un ente europeo, lo stesso ente che certifica le aziende europee

          poi ho fatto il “certificatore” per un certo periodo, e secondo me:
          – certificazioni scritte dal geometra locale o da aziendina privata, che deve fatturare il più possibile in 15 anni e poi può sparire anche dopo aver perso reputazione o essere rimasto coinvolto in contenziosi legali, non sono affidabili;
          – se parliamo di certificazioni non quantitative, idem c’è un po’ di margine;

          – se sono certificazioni di tipo quantitativo, facilmente ripetibili da altri enti perché il metodo di misura/calcolo è normato e trasparente, e sono rilasciate da un ente unico oppure da ditte note e di grandi dimensioni, che vivono di autorevolezza e non può permettersi di essere colto a truccare i dati per far contento il cliente, di solito hai dati abbastanza veritieri

          per es. sapevamo che certificando una ditta, poi ASL ( oggi ATS) o altri soggetti contrapposti alla ditta, avrebbero potuto ripetere le nostre prove e allora anche fossimo stati disposti a barare, non si poteva modificare o manipolare i dati quantitativi, dovevano essere “ripetibili” nel margine di errore e anche nelle condizioni di misura peggiorative; al massimo si poteva giocare un poco su eventuali “supercazzole” interpretative

          ma se c’erano non conformità o sforamenti dei limiti, consigliavamo al cliente come mettersi in regola in modo permanente, spiegandogli che era la scelta meno costosa rispetto al rischio di contenziosi, e una volta fatto ripetevamo le prove.. se il cliente invece voleva fare il furbo, non fare gli adeguamenti, non ci richiamava più e poi faceva fare una relazione farlocca da una dittarella o un libero professionista disponibile a questo, però questa nuova relazione valeva meno delle nostre di ente grande, specie agli occhi di AST e poteva essere sgamata o verificata, oppure un soggetto danneggiato dalla non conformità poteva ripetere le prove e aprire un contenzioso che arebbe coinvolto la ditta e forse anche chi avesse falsificato i dati

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