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Emissioni clima alteranti, tante promesse ma va sempre peggio

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Gli impegni a ridurre le emissioni clima alteranti non si contano e sono sempre più ambiziosi. Nei fatti, però, continuano ad essere disattesi. Tanto che l’anno scorso le emissioni globali hanno toccato un nuovo record e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera a raggiunto i livelli di alcuni milioni di anni fa.

Sessantasei Paesi si sono impegnati a raggiungere le emissioni zero entro il 2050. In altre parole a rispettare la tabella di marcia fissata dagli accordi internazionali sul clima. La data del 2050 per raggiungere la decarbonizzazione, del resto, è un po’ l’ultima spiaggia concessa all’umanità per evitare la catastrofe climatica. E non basterà nemmeno, perché da quella data in poi sarà necessario togliere anidride carbonica dall’atmosfera per riportare la concentrazione sotto il livello di 400 parti per milione, limite di sicurezza contro il surriscaldamento globale.

Come 3-5 milioni di anni fa

Cosa sta succedendo invece? Succede che anche lo scorso anno le emissioni clima alteranti globali sono aumentate e l’atmosfera ha fatto segnare un nuovo record negativo per le concentrazioni di CO2 e altri gas a effetto serra. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (Wmo), nel 2018 la concentrazione di CO2 – che rappresenta il principale gas serra di origine antropica – ha raggiunto le 407,8 parti per milione (ppm). Nel 2017 eravamo a quota 405,5.  Quella dell’anno scorso è la concentrazione più alta da 3-5 milioni di anni. Allora la temperatura media del pianeta era due o tre gradi più alta e il livello dei mari da 10 a 20 metri superiore.

Per di più l’aumento registrato nel 2018 è stato superiore al trend medio dell’ultimo decennio. Oggi il diossido di carbonio disperso è superiore del 147%  rispetto ai livelli che si registravano in epoca pre-industriale, ovvero prima del 1750.  Perciò non è detto che basti dimezzare le emissioni attuali di qui al 2030 e annullarle al 2050  per evitare che le temperature medie globali restino al livello di sicurezza previsto, cioè entro un 1,5 gradi.

Il settore energia accusato speciale

I dati del Wmo sono in linea con la ricerca pubblicata lo scorso aprile dall’Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia. Sottolineava come se tra il 2014 e il 2016 l’economia mondiale aveva fermato l’aumento delle emissioni clima alteranti, dal 2017 la dinamica  è tornata a peggiorare. Il settore energetico contribuisce per più del 50% al totale di CO2 immessa nell’atmosfera e i primi venti colossi petroliferi mondiali, da soli, al 37%.

E i grandi Paesi non rispettano gli impegni

Nessuno dei paesi del G20 ha finora rispettato gli accordi di Parigi che puntano a raggiungere la neutralità climatica – ovvero l’equilibrio tra emissioni e assorbimento del carbonio _ entro il 2050.  Perciò lascia scettici l’impegno assunto  da sessantasei governi, 10 regioni, 102 città, 93 aziende e 12 investitori di raggiungere le zero emissioni nette di CO2 entro il 2050. Anche se lo hanno formalizzato il mese scorso a New York durante il Climate Action Summit, il vertice tenuto a margine della 74ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Disertato dal presidente americano Donald Trump, il summit ha visto per la prima volta l’adesione all’accordo di Parigi da parte della Russia.  Il primo ministro Dmitry Medvedev ha detto che i cambiamenti climatici sono una minaccia particolarmente grave per «la sicurezza della nostra gente che vive sul permafrost». Il permafrost è lo strato di terreno ghiacciato a nord del Circolo Polare Artico, per la maggior parte in Siberia. Imprigiona enormi masse di gas metano che potrebbero liberarsi in atmosfera moltiplicando l’effetto serra.

 

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