Economia green, le imprese non trovano personale: ma come è possibile?

A minacciare la competitività delle imprese italiane non sono solo i costi energetici o le incertezze geopolitiche. L’ostacolo principale riguarda la difficoltà nel reperire lavoratori adeguatamente formati. A lanciare l’allarme è Anie Confindustria, come si legge nello studio “Verso una nuova competitività industriale europea: il ruolo strategico dell’Elettrotecnica e dell’Elettronica”, realizzato insieme alla società di consulenza Teha. Un dossier da cui emerge un divario crescente tra la domanda di lavoratori specializzati e l’offerta di competenze sul mercato del lavoro.

C’è da chiedersi come sia possibile che di fronte a una domanda sempre più elevata non ci sia una ricollocazione di tecnici da altri settori e non ci sia una offerta da parte del sistema universitario. Da cosa dipende? Secondo il rapporto, l’accelerazione della digitalizzazione, dei progetti di decarbonizzazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici sta rivoluzionando il mercato del lavoro.

Economia green: in Italia, il 77% delle nuove assunzioni nel settore elettronico ed elettrotecnico già oggi richiede competenze green

Tra il 2025 e il 2030 questi tre macrotrend potrebbero generare 18,5 milioni di posti aggiuntivi a livello globale, ma al tempo stesso causeranno la scomparsa di molte professioni tradizionali. In Italia, il 77% delle nuove assunzioni nel settore elettronico ed elettrotecnico già oggi richiede competenze green. Contro una media nazionale (che prende n considerazione tutti i settori industriali) del 35%.

Il divario tra le competenze richieste e quelle disponibili è in crescita. Il sito specializzato Qualenergia.it mette in evidenza quanto emerge da Linkedin: tra il 2018 e il 2023 le offerte di lavoro “green” sono aumentate del 9,2% l’anno. Ma la disponibilità di lavoratori con skill adeguate si è fermata al 5,4%. Sul fronte digitale, solo il 49% degli italiani possiede competenze di base, contro una media OCSE del 71%. Grave anche il ritardo nelle discipline STEM: appena 18,5 laureati ogni mille giovani, contro i 35,3 della Francia e i 40,1 dell’Irlanda.

A complicare il quadro c’è la scarsa propensione alla formazione continua. Nel 2022 solo il 10% della popolazione in età lavorativa ha partecipato a corsi di aggiornamento, contro una media Ue del 13% e picchi del 35% in Svezia. Non sorprende dunque che, secondo un’indagine condotta da Teha  Group e dal Servizio Studi di Anie, il 75% delle imprese del settore segnali una carenza significativa di tecnici e operai specializzati.

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Il 69% delle aziende ha dovuto rallentare o sospendere progetti e una su tre ha perso opportunità di mercato

Le conseguenze sono già visibili: il 69% delle aziende ha dovuto rallentare o sospendere progetti strategici per mancanza di personale qualificato e quasi una su tre ha perso opportunità di mercato. Dal 2017 al 2023 le posizioni con difficoltà di reperimento sono passate dal 37% al 58%.Questo trend rischia di diventare strutturale – avverte Anie – se non si interviene con politiche mirate su formazione, orientamento e valorizzazione del lavoro tecnico”.

Infine, c’è un nodo demografico da sciogliere. Entro il 2050 la popolazione italiana in età lavorativa calerà del 20,5%, il peggior dato in Europa. Un invecchiamento che, combinato con il gap formativo, potrebbe erodere le basi stesse della sostenibilità produttiva.

Come invertire la tendenza? Una delle leve principali individuate è il rafforzamento degli Istituti tecnici superiori (ITS). Nel 2023 l’84% dei diplomati ITS ha trovato lavoro, con iscrizioni in crescita del 38% su base annua. Ma i numeri restano bassi: in Italia solo l’1% degli iscritti alla formazione terziaria sceglie percorsi professionalizzanti, contro il 40% in Germania e il 29% in Francia.

Lo studio guarda anche all’impatto dell’intelligenza artificiale, definita “un acceleratore di produttività e trasformazione delle competenze”. Secondo le stime, l’adozione diffusa dell’AI generativa potrebbe liberare fino a 5,7 miliardi di ore di lavoro all’anno e generare fino a 312 miliardi di euro di valore aggiunto, pari al Pil della Lombardia. Lungi dal sostituire l’uomo, l’AI richiederà nuove figure professionali in grado di gestire e co-progettare con le macchine intelligenti.

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Visualizza commenti (6)
  1. non aiuta che i recenti decreti del governo hanno di colpo in Italia PIU’ CHE DIMEZZATO i progetti rinnovabili che si prevedeva essere pronti ad essere realizzati in cantiere, è un danno enorme presente, e anche futuro, avendo creato paura in investitori e aziende

    non siamo ai livelli di follia e illegalità di Trump che, su volere dei suoi finanziatori della campagna elettrorale, ha fatto fermare persino cantieri di impianti rinnovabili già approvati e già in costruzione, aprendo voragini finanziarie per le ditte che li stavano realizzando

    ma anche da noi il governo dal 2023 ha fatto decreti di saboggioo selvaggio, e se il settore non ha un minimo di stabilità legislativa e di coda di progetti, mi chiedo se un’azienda allora cercherà di assumere al risparmio, figure temporanee e con un inquadramento di salario non adeguato, invece che in modo permanente e premiante; a queste condizioni faticherebbe di più a trovare candidati

  2. massimo granarolo

    purtroppo alcuni direttori del personale sono convinti che con poche centinaia di ore di formazione si impara un mestiere cosa che non si impara neanche dopo 42 anni di lavoro puoi se ti formi fuori dal lavoro anche solo frequentando fiere internazionali (comunque hanno costi e gg di ferie) poi chiedi 100 € di aumento te li negano e vedo i giovani preparati che se ne vanno all estero certo che poi non trovano

  3. KrissParker72

    Tranquilli, non si trovano dipendenti nemmeno nella ristorazione, in ospedale, nell’edilizia… va tutto bene

  4. Purtroppo le aziende italiane hanno un concetto di formazione continua distorto.
    La formazione continua per le aziende è tendenzialmente a carico dei dipendenti. Ovvero da farsi fuori dall’orario di lavoro.
    In più, ogni nuova competenza non è riconosciuta con un incremento dello stipendio se fatta fuori orario lavorativo.
    Ora se io facessi formazione continua fuori orario lavorativo, è certo che non lo comunicherei al datore e appena avuta la competenza cambierei datore di lavoro.
    Se invece le aziende prevedessero nell’orario di lavoro percorsi formativi, i dipendenti li seguirebbero più volentieri, gli stipendi potrebbero aumentare in proporzione minore rispetto a chi si fa formazione fuori orario lavorativo e saremo tutti felici e contenti.
    Non a caso molto informatici lavorano in remoto con aziende essere semplicemente perché pagano di più e prevedono percorsi formativi che comportano aumenti di stipendi.

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