E-fuels, cosa sono e perchè non saranno la soluzione

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Gli e-fuels non salveranno le auto a motore endotermico dal bando europeo del 2035. Quanto meno, non le salveranno tutte. Averli ammessi tra le tecnologie carbon neutral alimenta solo facili illusioni. Infatti non c’è all’orizzone nessuna innovazione che possa permettere di produrli a prezzi accettabili entro la fatidica data del 2035. E la loro combustione produce gli stessi inquinanti locali (particolato e ossidi di azoto) dei carburanti fossili. Con gravi conseguenze per gli abitanti delle aree urbane. Ce lo spiega nel dettaglio il professor Alessandro Abbotto, amico storico di Vaielettrico e autore di pubblicazioni divulgative come  Idrogeno. Tutti i colori dell’Energia   e  “La mobilità elettrica, Storia, tecnologia, futuro”.

carburanti fossili

                                           di Alessandro Abbotto∗ 

versione Cingolani
Alessandro Abbotto

Il Consiglio Europeo ha adottato a fine marzo un regolamento che ha come obiettivo la drastica riduzione delle emissioni del trasporto su strada, che rappresentano la frazione più alta delle emissioni da trasporto, a loro volta responsabili da sole di circa un quarto (in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, anche fino a un terzo) di tutte le emissioni di gas serra. Le nuove regole fissano come obiettivo la riduzione del 100% delle emissioni di CO2 sia per le nuove auto che per i furgoni a partire dal 2035.

Su insistenza della Germania il nuovo regolamento contiene un riferimento agli e-fuels, in base al quale, anche dopo il 2035, sarà possibile l’immatricolazione di veicoli con motore a combustione interna purchè alimentati esclusivamente con carburanti CO2-neutri, gli e-fuels appunto.

Ma è veramente così? La risposta è sì, sono CO2 neutri MA a un caro prezzo, come vedremo.

Per e-fuels, o electrofuels o anche powerfuels, si intende qualsiasi tecnologia che converte elettricità in un combustibile liquido del tutto simile a benzine, diesel e kerosene (power-to-liquid) o gassoso come il metano (power-to-gas).

No fonti rinnovabili, no e-fuels

Il punto di partenza è, come detto, l’elettricità che, affinché tutto il ciclo risulti climaticamente neutra, deve essere ovviamente rinnovabile. Altrimenti, già in partenza, gli e-fuels non sarebbero più climaticamente neutri. Questa è la prima obiezione.

Al momento la frazione di elettricità nel mondo prodotta da rinnovabili è poco meno del 30%. In alcuni paesi, come l’Italia, arriva fino al 42%. Da qui al 2035 la componente rinnovabile aumenterà sicuramente (l’Italia si è posta come obiettivo di arrivare al 2030 al 72%) ma sicuramente non arriverà al 100% in tempi brevi, certamente non al 2035. Quindi anche al 2035 una frazione di elettricità NON sarà rinnovabile e sarà, pertanto, responsabile di emissioni di gas serra.

L’elettricità (rinnovabile) serve per scindere, in un processo chiamato elettrolisi, l’acqua in idrogeno e ossigeno. È il cosiddetto idrogeno verde, i cui utilizzi spaziano dai trasporti, all’industria, al riscaldamento residenziale e allo stoccaggio di energia.

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L’idrogeno è importante perché, combinato con molecole che contengono atomi di carbonio, producono idrocarburi, ovvero molecole formate solo da atomi di carbonio e idrogeno. Ovvero dei combustibili, gli e-fuels appunto.

E una fonte di atomi di carbonio non solo l’abbiamo in abbondanza ma addirittura la sua abbondanza rappresenta un serio problema. Quindi perché non utilizzarla? Si tratta, l’avrete capito, del biossido di carbonio, o CO2.

Già il chimico francese Paul Sabatier, a fine Ottocento, era riuscito, a partire da CO2 e idrogeno (in presenza di opportuni catalizzatori, ad alte temperature e pressioni), a produrre metano (e acqua). Questo processo è utilizzato dal 2010 nella Stazione Spaziale Internazionale per convertire la CO2 emessa dagli astronauti in acqua da bere (mentre, curiosamente, il metano viene espulso all’esterno della stazione, perché lì, a differenza della preziosissima acqua, non serve).

La lunga storia degli e-fuels è tutta tedesca

Il vero passo storico importante per produrre e-fuels risale al 1925 quando i chimici tedeschi Franz Fischer e Hans Tropsch svilupparono un processo in grado di trasformare monossido di carbonio (CO, attenzione non CO2), in presenza di idrogeno e catalizzatori metallici (sempre ad alte pressioni e temperature), in idrocarburi a lunga catena, ovvero ideali per fungere da combustibili per motori a combustione interna. Il processo Fischer-Tropsch è proprio quello che si utilizza ancora oggi utilizzare per produrre i combustibili sintetici, ovvero un processo vecchio di un secolo ed estremamente costoso ed energivoro.

Il monossido di carbonio, CO, può essere ottenuto in vari modi. Ad esempio, per reazione di carbone e acqua. È quello che ha fatto la Germania nazista durante la Seconda guerra mondiale per fornire di combustibili i propri carri armati, sfruttando i grandi giacimenti di carbone della Ruhr e aggirando in questo modo, anche se a caro prezzo, l’impossibilità di accedere alle forniture di petrolio dall’estero. O anche il Sud Africa, sempre a partire da immensi giacimenti di carbone, per rispondere all’embargo petrolifero deciso come conseguenza del regime segregazionista dell’apartheid.

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Uno stabilimento della sudafricana Sasol

L’impresa petrolifera sudafricana Sasol ancora oggi assicura quasi un terzo dei consumi di combustibili del paese, in particolare diesel e kerosene per gli aerei, a partire da carbone o anche da gas naturale. Guarda caso tra i finanziatori degli impianti di nuova generazione della Sasol c’è il governo tedesco. Tuttavia, l’impianto principale, a Secunda, nella provincia sudafricana del Mpumalanga, è lungi dal considerarsi pulito e oggi rappresenta il sito singolo con le maggiori emissioni di CO2 al mondo, oltre 50 milioni di tonnellate per anno.

Si fa presto a dire carbonio, il difficile è catturarlo

Ma tralasciando i paesi ricchi di carbone, l’idea principale rimane quella di utilizzare il biossido di carbonio. Il problema è, come noto, che non esistono giacimenti di CO2 ma bisogna “catturarlo”. Prenderlo dall’aria, dove si trova in concentrazioni bassissime (per ogni milione di particelle d’aria ve ne sono solo 400 di CO2, come dire una sala da cinema piena di persone diluita però in una grande metropoli) – pur sufficienti per alterare l’effetto serra naturale del pianeta e provocare il surriscaldamento globale – è fuori discussione, almeno per parecchi decenni. Si può prendere laddove è più concentrata, come ad esempio dai fumi di scarico di cementifici e acciaierie. Anche qui, però, si tratta al momento di un processo costoso e con efficienze non elevate. E comunque con volumi molto limitati.

Ma poi, una volta catturata la CO2, bisogna combinarla con idrogeno verde per ottenere il monossido di carbonio che alimenta il processo Fischer-Tropsch. E qui si va incontro a un altro problema: oggi l’idrogeno prodotto è al 99% grigio, ovvero prodotto da fonti fossili, con emissioni annue di CO2 che arrivano a quasi un miliardo (un miliardo!) di tonnellate.

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Lavori in corso in Cile per il primo impianto di produzione per e-fuels a zero emissioni. Lo sta costruendo un consorzio guidato da Porsche

Allo stato dell’arte il costo è 10 euro al litro

Le conclusioni, a questo punto, appaiono ovvie a tutti (tranne che, verrebbe da dire, al Consiglio Europeo). Con l’attuale tecnologia produrre combustibili sintetici è certamente possibile (la sudafricana Sasol vanta un’esperienza, ormai, di oltre 60 anni) ma a prezzi altissimi, per via delle difficoltà del processo, e con emissioni nette di CO2 tutt’altro che nulle. Il prezzo attuale di un combustibile sintetico si aggirerebbe, alla pompa, attorno ai 10 euro al litro.

Nel 2035 SE avremo abbastanza CO2 catturata dai fumi o dall’aria (ma è chiaramente fuori discussione che ne avremo a sufficienza per sostituire tutti i combustibili fossili oggi utilizzati nel trasporto), SE tutto l’idrogeno (oggi al 99% sporco) sarà verde, SE il processo Fischer-Tropsch, pur con un secolo di storia alle spalle, diventerà improvvisamente poco energivoro e meno sporco, SE avremo tutto questo, allora, sì, potremo usare in tutta tranquillità gli e-fuels. Oppure no?

Lo stesso inquinamento, a emissioni zero

In realtà no, perché poi, quando arrivano nella vettura, gli e-fuels sono indistinguibili, chimicamente, dai combustibili fossili e quindi fanno tutto quello che sanno fare, in particolare bruciare male producendo microparticolato e includere anche la reazione di combustione dell’azoto, presente nell’aria, per produrre i tossici ossidi di azoto.

Morale? Continueremo ad avere le città altrettanto inquinate come adesso, con una sola consolazione: la CO2 emessa sarà uguale a quella utilizzata in partenza, ovvero sarà effettivamente ad emissioni nette nulle (sempre che si utilizzi esclusivamente idrogeno verde, elettricità rinnovabile ecc. ecc.). Come dice il Consiglio Europeo. Sì, ma a quale prezzo per le nostre città e per i nostri portafogli.

Ne valeva la pena? No, ma anche sì

Non c’è neanche bisogno di rispondere. L’ottenimento di combustibili sintetici a emissioni nette nulle sembra, di per sé, il Santo Graal, l’invenzione geniale che mancava per far tornare tutto. Ma, come abbiamo visto, non si tratta né di un’invenzione moderna, né così sostenibile come si vuole far credere. Ma, nonostante tutto, nonostante anche la sua storia costellata di momenti tra i più bui dell’umanità – dalla guerra nazista all’apartheid – questa opportunità non va del tutto scartata.

Perché, comunque, rappresenta uno dei pochi modi che avremo di produrre combustibili ad emissioni nette nulle e di utilizzarli laddove altre vie non saranno facilmente percorribili, come nel trasporto marittimo ed aereo.

Ma non certo nel trasporto leggero su strada dove, sappiamo bene tutti, esiste da anni (anzi, a rigori, dalla fine dell’Ottocento) ed è ormai completamente matura – già oggi, non nel 2035 – un’altra tecnologia che oltre ad essere a emissioni nulle non produce nulla di tossico o inquinante: il motore elettrico (a batteria o a idrogeno).

Per non parlare del ruolo di un altro combustibile che, in tutta questa storia, entra di già ma solo come co-protagonista: l’idrogeno. Che non solo può essere bruciato direttamente, producendo come scarto innocuo vapore acqueo, ma – anzi soprattutto – può essere utilizzato in una cella a combustibile per produrre elettricità, in modo rinnovabile e infinito, a partire da acqua, sole e vento.

Presidente della Divisione di Chimica Organica della Società Chimica Italiana. Coordinatore Nazionale dei Giochi e Campionati Internazionali della Chimica della Società Chimica Italiana. Professore a contratto presso il Vellore Institute of Technology (India). Docente presso Dipartimento di Scienza dei Materiali Centro di Ricerca Energia Solare MIB-SOLAR all’Università di Milano–Bicocca.

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Visualizza commenti (22)
  1. Sento una gran puzza di fregatura. E se l’idrogeno e la CO2 arrivsssero dall’estero (extra UE) enza necessitá di certificazione di provenienza?

    1. Visto che si stanno organizzando per ottenere la tracciabilitá dell’idrogeno a livello europeo (https://www.euractiv.com/section/energy/opinion/the-road-to-green-hydrogen-certification-and-the-potholes-to-be-avoided/https://solutions.acciona-energia.com/green-hydrogen/traceability-with-blockchain/), credo che quest’obiettivo potrebbe diventare obbligatorio almeno sulla carta anche con l’idrogeno di provenienza extraeuropea (vedi capitolo 3 del documento https://gasforclimate2050.eu/wp-content/uploads/2022/10/2022_Facilitating_hydrogen_imports_from_non-EU_countries.pdf)

  2. Luca Dell'Oca

    In realtà un sistema affidabile, funzionante, e testato da milioni di anni per catturare la CO2 atmosferica lo possediamo eccome, ma lo stiamo distruggendo: gli alberi!

    Vedo ovunque dissennate attività di disboscamento attuate da gente che considera da sempre il bosco come un bancomat gratuito: si va, si preleva gratis la legna di cui si necessita, senza nemmeno la decenza di ripristinare il bosco o piantare nuovi alberi giovani. La legge per obbligarli ci sarebbe anche, ma nessuno la fa rispettare e le multe sono così ridicole che – nel remoto caso qualche guardia forestale facesse il mestiere per cui è pagata con le nostre tasse – sarebbe più economico pagarla che ripristinare il bosco.

    Dobbiamo porre uno stop a queste attività, la legna per scaldare casa deve essere bandita e i boschi vanno preservati. Facciamo tante donazioni a buffonate di puro greenwashing per queste campagne di ripiantumatura, che per carità faranno anche qualcosa, ma l’azione più immediata e efficace sarebbe smettere di disboscare.

    E non lo dico io da semplice cittadino ma gente del MIT: https://climate.mit.edu/ask-mit/how-many-new-trees-would-we-need-offset-our-carbon-emissions#:~

  3. Tema costo: gli e-fuels possono essere aiutati fiscalmente, come l’elettrico. I biocarburanti, poi, costano meno già all’origine. Tema emissione CO2: in Africa le aziende CINESI che estraggono il litio in quasi monopolio, utilizzano tecnologie sostenibili. Come le usano per produrre in Cina le batterie e per smaltirleel. A proposito: in Ciba non è previsto nessun phase out dei motori termici. In Europa quanto impattano le gigafactory? Quanta energia richiedono? Come potranno essere sostenibili senza nucleare, fotovoltaico ed eolico estesi? Tema sociale: volete togliere di mezzo le ICE per ridurre il parco circolante. Alla faccia del diritto alla mobilità, ne faranno le spese i più poveri. Idrogeno per le fuel cells: ottimo per autonomia e tempo nel fare il pieno, ma dev’essere tenuto a basse temperature e stoccato con cura per le elevate pressioni. Difficile da trasportare. Ma cosa ci importa? Noi abbiamo la ricarica privata nel giardino della nostra villetta…

    1. Lei Enrico scrive una valanga di corbellerie. Per dirne solo una: in Africa non si estrae un solo grammo di litio. Riguardo alle agevolazioni fiscali, cosa dicevo? Ecco gli aiutini di Stato. Continui così e saremo costretti a bannarla

      1. La prima cosa che appare su Google digitando “Litio Africa”:

        Lo Zimbabwe possiede i più grandi depositi di litio dell’Africa, il sesto detentore di litio a livello mondiale. La miniera di Bikita, situata a 308 chilometri a sud della capitale Harare, è la più grande miniera di litio del Paese, con riserve di 10,8 milioni di tonnellate del minerale. E’ attiva dagli anni 50 del secolo scorso.

          1. Ad oggi è pari all’1,4% pertanto non mi pare meritevole degli appellativi poco lusinghieri da Lei riservati il lettore di cui sopra definito diffusore di stupidaggini pur avendo riportato il vero.
            E pure minacciare di bannare un utente in quanto auspica aiuti di Stato per efuels climaticamente neutri quando aiuti di Stato vengono erogati al mondo BEV non mi pare idoneo a rendere questo forum un luogo in cui poter dissentire dalla tesi imperante.
            Auguri.

  4. a me basterebbe poter fare bioetanolo sulla mia auto per ridurre 80% delle emissioni attuali ma in Italia non ci sono distributori che lo commercializzano mentre in Francia ci sono

  5. /// rappresenta uno dei pochi modi che avremo di produrre combustibili ad emissioni nette nulle e di utilizzarli laddove altre vie non saranno facilmente percorribili, come nel trasporto marittimo ed aereo \\\ Credo che sarebbe interessante confrontare gli efuel con la propulsione elettrica nel settore dell’aeronautica a corto raggio, vedi ad esempio l’alleanza industriale fra Heart Aerospace e BAE Systems https://evmagz.com/heart-aerospace-collaborates-with-bae-systems-to-develop-battery-system-for-es-30-electric-plane/

  6. Roberto Pallaoro

    Seguo da diverso tempo i processi di elettrificazione senza essere un chimico, mi risulta che per produrre 1 chilogrammo di idrogeno occorrano 55 kWh, già questo rende improprio l’uso dell’idrogeno sotto qualsiasi forma per la mobilità leggera e utilizzare altra energia rinnovabile per lavorare ulteriormente l’idrogeno per ottenere dell’e-fuel mi pare ancora più illogico. Sarebbe interessante sapere quanta energia occorre per realizzare un litro di e-fuel e quanta potenza arriva alle ruote con quel tipo di consumo di energia rinnovabile. Se occorresse più di 100 kWh sarebbe un processo da vietare.
    Il mio sospetto è che l’e-fuel tenga in vita i motori endotermici furbescamente, vero che i motori dovranno accettare solo e-fuel, ma ritenete davvero che non ci sarà chi bypassera il divieto?

    1. Alessandro D.

      -Sarebbe interessante sapere quanta energia occorre per realizzare un litro di e-fuel-

      Per altri motivi, ma sarei veramente curioso anch’io.

      Credo che tra gli esimi Abbotto e Armaroli la redazione abbia modo di farci avere la risposta.
      Anche a grandi linee, senza pretesa che sia al centesimo di watt, magari un numero che per quanto “indicativo” possa essere facilmente “digerito” anche da chi come me non ha fatto particolari studi scientifici.
      (giusto per non cadere in tentazione di rispondere con correttissime formule o sacrosante equazioni… 🙂 )

      Spoiler: anch’io sono assolutamente convinto che gli e-fuel, allo stato attuale delle conoscenze, non possano essere una soluzione “strutturale”.
      E anche se disponessimo di energia elettrica gratuita e infinita non sarebbero certo la cosa più furba.

      1. Duca Conte Balabam

        Si parla di 27kwh per un litro di efuel. Assolutamente assurdo per la mobilità leggera.

      2. Carissimi,
        Il problema efuel come i biocarburanti è che devono essere prodotti per alimentare un sistema di propulsione vecchio di più di un secolo. Già in prodizione abbiamo sprechi immensi, ma anche una volta inseriti nelle “storiche” macchine a biella e pistoni, non riescono a fornire più di un 35% di energia. E’ come la storia della vecchia locomotiva a vapore alimentata de una batteria al litio e una resistenza per scaladare l’acqua nella caldaia. E’ questo che vogliamo? Del resto perchè rinunciare al “canto” di un motore di una lamborghini per uno stupido motorino che non si sente nemmeno quando gira? E poco importa se questo motorino è in grado di bruciare in ripresa una lamborghini da 1000 cavalli. poi a 200Km/h la lamborghini tanto lo supera perchè la macchina col motorino limita la velocità a 180. Poi ci sono comunque i problemi politici assurdi imposti dai produttori di auto e governi. Se si fosse deciso fin dall’inizio di adottare il metodo battery swap, avremmo risolto il problema della mobilità personale, con auto a prezzo ridicolo, superperformanti e praticamente eterne (ci sono locomotive che trainano 70 vagoni merci che furono costruite nel 1935) e non ultimo avremmo risolto il problema dello stoccaggio della corrente prodotta da fonti discontinue.
        Ma questa è un altra storia

  7. caprone manicheo

    Condivido in pieno tutto quanto sopra, ma purtroppo l’italiano (e purtroppo non solo) ha alcune brutte caratteristiche, é: clientelare, tende a fare il furbo e vive in un contesto dove tali qualità sono viste con stima e rispetto.

    Come ho già scritto (se ci sarà realmente) aspettiamoci la e fuel derivata in modo “furbo” dal petrolio.

    1. Gianluca A.

      Il carburante e’ indissolubilmente legato al servizio dei trasporti di pubblica utilita’, e’ il meno costoso, e di buona gestione. Il nord Italia e’ coperto per molti anni, con un po’ di elettricita’ che aiutera’ a ridurre l’impatto sociale.

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