In un’intervista al Financial Times, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, va controcorrente rispetto ad altre Big Oil: entro il 2040, i profitti operativi delle attività legate all’energia green supereranno quelli generati da petrolio e gas. Una previsione che si discosta dalle recenti decisioni di big del settore come Shell e BP, che hanno rallentato i propri investimenti nelle energie green
Secondo quanto dichiarato da Descalzi, già entro il 2035 le nuove attività di Eni — Enilive e Plenitude — raggiungeranno (sempre in termini di utile operativo) le divisioni tradizionali. Si tratta di una svolta strategica in un momento in cui molte major stanno facendo marcia indietro sulla transizione energetica. Ricordiamo che Enilive ha il suo interno le attività sui biocarburanti, mentre Plenitude comprende tutti gli asset che riguardano eolico e fotovotaico.
Attualmente, il peso delle attività green nei conti del gruppo è ancora molto inferiore rispetto a quello di petrolio e gas: nel primo semestre del 2025, le due divisioni sostenibili hanno generato un utile operativo di 598 milioni di euro, contro i 6,6 miliardi delle attività tradizionali. Tuttavia, le società “satellite” sono già in utile e possono contare su una solida base industriale.
Eni, per finanziare la crescita ha ceduto quote di controllate per 3,8 miliardi soltanto nella prima metà del 2025
Al quotidiano britannico, Descalzi (rinnovato per il suo quarto mandato) ha spiegato come la strategia di Eni si fonda su un modello ibrido che unisce crescita sostenibile e generazione di cassa. Enilive integra la raffinazione di biocarburanti con una rete di 5.000 stazioni di servizio, mentre Plenitude combina la produzione di energia rinnovabile, l’infrastruttura per la ricarica di veicoli elettrici e la fornitura residenziale di gas ed elettricità. Due entità autonome, ma nate per sostenersi a vicenda.
Un aspetto centrale della strategia è la capacità di autofinanziarsi: ciascuna divisione ha un utile annuo lordo di circa un miliardo di euro. Inoltre, Eni ha venduto quote di minoranza a investitori istituzionali come KKR ed Energy Infrastructure Partners, raccogliendo 3,8 miliardi di euro solo nella prima metà del 2025.
Per sostenere la crescita, Eni si affida a joint venture e non alle fusioni, dalla Norvegia all’Indonesia
Eni ha anche saputo espandersi senza affidarsi a grandi acquisizioni, grazie a un sistema articolato di joint venture. Tra queste, Var in Norvegia, Ithaca nel Regno Unito, Azule in Angola e una recente partnership con Petronas in Indonesia. Un approccio flessibile che ha consentito al gruppo di rafforzare la sua presenza globale senza dover attingere a capitali eccessivi.
“Non abbiamo le risorse delle grandi major per le acquisizioni, ma possiamo scambiare asset e collaborare”, ha spiegato Descalzi, sottolineando l’efficienza della strategia a satelliti anche in ambito tradizionale.
Mentre altri gruppi sembrano frenare sulla transizione energetica, Eni continua a investire con convinzione, pur mantenendo un approccio pragmatico. Descalzi ha ribadito che la crescita, da sola, non è sufficiente: serve anche redditività. “La transizione energetica è utile, ma complessa. Gli investitori vogliono numeri chiari“, ha affermato.
Gas nell’Adriatico? Per Descalzi (Eni) arriverà prima il ritorno del nucleare
Gli analisti sembrano concordare. RBC Capital Markets ha definito “unico” l’approccio di Eni, sottolineando come la strategia abbia già generato valore. HSBC, invece, ha evidenziato la coerenza dell’azienda rispetto ai competitor, rimarcando l’assenza di tagli o retromarce nelle ambizioni green.
Non mancano obiezioni alla politica industriale di Eni. Oltre alla crisi della chimica verde, con la controllata Versalis in crisi di risultati, a Descalzi viene obiettato di puntare ancora a lungo sul gas (come testimonia anche il recente contratto di acquisizione di Gnl americano) e gli investimenti sulla cattura della CO2, che non ha ancora dimostrato di essere una tecnologia affidabile, sia finanziariamente che dal punto di vista industriale ed ambientale.
purtroppo finché ENI è “di fatto” il ministro dell’energia del governo,
le autorizzazioni degli impianti rinnovabili in Italia verranno frenate, con la scusa del tormentone del fanta nuculare, farlocchissimo su tempi e costi reali improponibili
il commercio dei fossili ha cifre enormi da perdere, sia come volumi che come prezzi unitari al momento alti, in caso di una transizione alle rinnovabili più rapida
anche solo per l’Italia, ballano decine di miliardi annui,
se ricordo, per l’italia un import di circa 30 miliardi di euro in metano ( 25 miliardi quando i prezzi sono meno alti) e circa altri 30 in petrolio
prezzi di importazione, poi ci sono i ricarichi associati alle lavorazioni, alla distribuzione, e alle tasse statali, e le cifre di cui sopra più che raddoppiano
sul metano poi, c’è una speculazione ulteriore alla fonte anche sul prezzo dell’import, il prezzo vero dei contratti a lunga scadenza se ho capito non è reso noto, e poi viene venduto mese per mese al prezzo ufficiale istantaneo di scambio europeo
e si aggiunge la speculazione finale nelle centrali termoelettriche, che di fatto ancora riescono a fare cartello e in molti orari determinano il prezzo orario dell’elettricità
e pensare a quanti impianti fotovoltaici ed eolici rispondenti ai requisiti ambientali da noi sono fermi in iter autorizzativo e/o per i recenti decreti di sabotaggio del settore
Da sempre sostengo che l’unica risposta possibile è quella dal basso, ridurre i consumi di carburanti passando alle auto elettriche e ridurre i consumi di gas con impianti fotovoltaici con accumulo per abbattere i consumi elettrici anche dalle 18 alle 20 che sono i più critici al momento..
Purtroppo il governo sta palesemente ostacolando questi impianti perché sottraggono soldi alle casse statali e quelle delle aziende fossili. Ovviamente tutto inutile perché la convenienza è tale che le installazioni rimangono alte nel corso del tempo, tuttavia ogni anno di ritardo sono miliardi e miliardi di utili.
Tu pensa quanto possa essere contenta ENI quando un’azienda installa un campo fotovoltaico e si auto-produce corrente tagliando le bollette di 10-100k al mese.
ENI è stata ripetutamente accusata di greenwashing, plenitude stessa non è 100% business green ma già solo perché vende offerte GAS non può garantire profitti al 100% proveniente dalla transizione ecologica.
Cito dal sito di legambiente:
“Nel quadriennio 2024-2027 la società prevede di allocare soltanto “oltre il 30%” della spesa ad attività “low e zero carbon”, categoria che include anche progetti relativi alla carbon capture e di cui meno del 40% è destinato alla generazione elettrica da fonti rinnovabili.”
E’ più di quello che stanno facendo i competitor? Non ho motivo di dubitare di quanto scritto nell’articolo, ma è sufficiente? Decisamente NO
Soprattutto perché la CCS si sta dimostrando molto più complessa e costosa da dispiegare.
Invece di diffondere promesse sulla crescita della componente green guardacaso subito dopo la ratifica dei contratti per l’acquisizione del GNL americano (che ha ed avrà costi molto elevati), se davvero si vuole far crescere e dare una spinta forte alle rinnovabili ENI e il Governo devono sganciare il prezzo dell’elettricità da quello del gas. Sono proprio curioso di vedere che prezzi raggiungeremo questo autunno con l’acquisto massiccio del gas americano e come giustificheranno questa mossa che rimpinza le casse di Trump facendo pagare gli italiani.