Nel tentativo di proteggere le industrie nazionali, i nuovi dazi sull’import di tecnologie pulite rischiano di far deragliare la corsa globale alla decarbonizzazione. Secondo il report “Clean Energy Trade and Emerging Markets” di BloombergNEF, le barriere commerciali potrebbero far lievitare i costi della transizione fino al 16%, rallentando gli obiettivi climatici e consegnando alla Cina il primato dell’economia verde.
Mentre Europa e Stati Uniti si “scontrano” tra incentivi, sussidi e dazi per difendere la produzione interna, Pechino continua a esportare pannelli solari, batterie e veicoli elettrici in tutto il mondo. Il risultato è paradossale: le misure protezionistiche pensate per ridurre la dipendenza dalla Cina rischiano di rafforzarne ulteriormente il dominio industriale e tecnologico.
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La contraddizione dei dazi “verdi”: a pagarne le conseguenze sarebbero soprattutto le economie emergenti
Il tesi dell’ultimo report di BloombergNEF, commissionato da Bloomberg Philanthropies. Mette in luce le contraddizioni di una politica industriale che si proclama verde, ma che invece alza muri commerciali. Dazi più elevati, spiega l’analisi, potrebbero aumentare sensibilmente i costi necessari a raggiungere gli obiettivi di energia pulita nelle economie emergenti.
In uno scenario estremo, con tariffe del 100% sui moduli solari e del 50% sulle batterie, il costo per triplicare la capacità rinnovabile entro il 2030 crescerebbe di 137 miliardi di dollari. Un prezzo altissimo per un mondo che, a parole, dice di voler accelerare la transizione.
La Cina corre, gli altri si fermano
Mentre l’Occidente si difende con i dazi, la Cina continua a produrre e vendere. Secondo lo studio, Pechino detiene l’80% della capacità produttiva globale in settori chiave come fotovoltaico e batterie. Dal 2022 al 2025 la quota delle sue esportazioni di tecnologie pulite verso i Paesi emergenti è passata dal 23% al 31%.
Questa crescita trainata da dazi bassi e politiche industriali coerenti sta alimentando il boom delle rinnovabili in Asia, Africa e Sudamerica. Paesi come il Pakistan e il Brasile stanno installando solare ed elettrico a ritmi record grazie alle importazioni cinesi, mentre in Europa i progetti restano imbrigliati tra burocrazia e protezionismo.
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Il rischio per l’Europa e per l’Italia
Per l’Italia e per l’Unione Europea, questa dinamica è un campanello d’allarme. Difendere l’industria interna è legittimo, ma alzare barriere doganali sulle tecnologie green rischia di ritardare la transizione e di far pagare ai consumatori il prezzo di una strategia miope.
Mentre la Cina consolida la sua leadership globale sull’economia green, noi rischiamo di restare spettatori di una rivoluzione industriale che si gioca altrove. Invece di erigere nuovi muri, servirebbero politiche di cooperazione industriale e investimenti su filiere europee davvero competitive.


situazione grama in nord america per le rinnovabili, tra:
– rincari dei componenti dovuti ai dazi,
– azzeramento dei sussidi (e questo ci potrebbe anche stare nel 2025)
– azioni volte a spaventare gli investitori, bloccando con scuse varie i lavori di grandi progetti già autorizzati e in costruzione
difficile prevedere in che percentuale farà calare le installazioni in Usa, se sarà 50% avranno uguagliato l’opera di sabotaggio dei nostri ministri italiani tra il 2023 e 2025, anche se da noi bloccano con i decreti, mentre il costo dei componenti non è salito se non di poco
intanto in Sud-America (e anche in Africa ma su quantitativi di energia più ridotti) ci sono un po’ di stati anche grandi che vanno già a 90% o 100% rinnovabili, sono stati rapidi perché partivano da una quota alta o molto alta di idroelettrico, ma bravi lo stesso, che ben gli porti
Urugay zitto zitto quatto quatto ha raggiunto mix elettrico 98% rinnovabili composto da 46% idro, 34% eolico, poi solare e biomasse
https://lowcarbonpower.org/region/Uruguay
In Europa da tenere d’occhio:
>>> Danimarca 86%
https://lowcarbonpower.org/region/denmark
>>> Austria 82%
https://lowcarbonpower.org/region/Austria