Il lancio del pick up elettrico Cybertruck è avvenuto poche settimane fa a Los Angeles, in maniera decisamente spettacolare (leggi qui). L’ultima creazione in casa Tesla si può certamente definire carismatica, come dimostra la polarizzazione delle opinioni che ha scatenato subito dopo la presentazione. Oltre alle ispirazioni provenienti dal mondo del cinema (Blade Runner e 007), è possibile rintracciarne altre? Qual è il suo significato nella strategia aziendale?
Architettura mobile

A prima vista l’autocarro statunitense si distacca dalle forme affusolate tipiche dello Streamlining. Le superfici piane si uniscono tramite spigoli vivi, generando un volume che, soprattutto nella vista laterale, richiama in qualche modo strutture architettoniche come le ziqqurat e le piramidi egizie. L’antichità si trova però mescolata con riverberi del Decostruttivismo, in un gioco di valori contrastanti: staticità e dinamismo, ritmo e frammentazione. Senza scordare l’aura d’imponenza e di soggezione che suscita la sola presenza fisica del truck (dimensioni 5.885 mm x 2.207 mm x 1.905 mm). In più, l’adozione di un approccio incentrato sulla veridicità dei materiali e sulla semplificazione (come dimostrano gli acciai speciali impiegati per la struttura e la carrozzeria) conferma la stretta relazione tra Tesla e architettura.
Il dialogo con il transportation design…

Inoltre, è facile supporre che la squadra di creativi guidata da Franz von Holzhausen abbia osservato con attenzione alcuni prototipi automobilistici di qualche decennio fa. Basti pensare alla Ferrari Modulo e alla Lancia Stratos Zero. Questi modelli esaltano il concetto formale di superficie continua tra parabrezza e cofano anteriore e, allo stesso tempo, introducono elementi di scomposizione nella carrozzeria mediante triangoli e linee marcate (tendenza che ha dominato il mondo automotive negli anni ’70 e ’80).

Si può anche citare lo studio Kar-a-Sutra, caratterizzato da forme estremamente squadrate e quasi prive di raccordi, dotato però di grande spazio e luminosità, proprio come Cybertruck. Così come la Citroën Karin, esercizio di stile quasi dimenticato della casa francese, la cui piramide vetrata pare “appoggiata” sul corpo del prototipo. È interessante notare che le concept car appena citate propongono un linguaggio formale simile a quello di progetti navali (Wally Yacht e Navy Seals) o aeronautici (Lockheed e Boeing). Si può pertanto affermare che il pick up della Tesla attinge a un patrimonio semantico di design industriale ben consolidato.
…e l’interior design

L’elemento più rilevante dell’abitacolo è la plancia (molto simile a un tavolo o un altare). Costruita apparentemente in marmo, è invece realizzata attraverso una miscela di carta, di fibre a base di legno e di resine di origine naturale cotte ad alta temperatura. Il composto così ottenuto è compatto, tenace e resistente all’acqua. La sostenibilità è poi declinata nel rivestimento dei sedili, ricoperti con materiali “vegani” (verosimilmente privi di ingredienti d’origine fossile). Naturalmente è presente uno schermo touch da 17″, così da soddisfare le esigenze d’infotainment dei passeggeri. La composizione visiva degli interni si avvicina a un salotto “incastonato” in un grattacielo moderno.
Il dubbio del bivio

Cybertruck è stato battezzato da amanti (e detrattori) come un prodotto dal design radicale, capace di mettere in discussione lo status quo. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, risulta alquanto reazionario. In un certo senso, infatti, sintetizza e fissa l’immagine (o il sogno) dell’automobile celebrata fin dal XIX secolo: un mezzo veloce, in grado di donare la libertà e l’evasione dalle regole della società. Il concept traspone il tradizionale paradigma in una realtà sci-fi distopica, tecnologica e individualista (d’altronde il pick-up è un emblema del Nuovo Mondo). Cybertruck ne celebra il mito, pur confezionato in modo scenografico. L’operazione può essere giustificabile per le necessità economiche della società statunitense.

Qualora, invece, costituisca un riferimento culturale per i prossimi progetti, c’è il rischio concreto di dissolvere l’immagine d’innovazione sincera (spesso dirompente e scomoda) associata al marchio Tesla. Come afferma la critica del design Elizabeth Bisley: “Invece di forme angolari in acciaio su un pick-up simile a un serbatoio, ciò di cui abbiamo davvero bisogno nella progettazione automobilistica futura è un approccio radicalmente nuovo al rapporto tra le tecnologie della mobilità e gli ambienti e le società in cui operano”. I materiali selezionati per l’abitacolo del concept dimostrano che la capacità di ricerca dei progettisti a Palo Alto è ancora eccellente. Si tratta soltanto di rielaborare le priorità. Il sogno spaziale non dovrebbe inficiare le esigenze (forse poco romantiche) terrestri.
Mi sembra di leggere una raffinata rivista di architettura invece di una rude pubblicazione di automobilismo per uomini veri.
A parte le battute, l’importante è cogliere le novità costruttive al di la dell’estetica. Ricordo che quando uscì la Panda, la fiat piu spigolosa di sempre, ci fu una rivolta di “benpensanti”. I verti piatti e lamiere nervate non furono digerite tanto dalla critica del tempo. Per fortuna costava poco e a modo suo sfondò.
Speriamo che questo mostro della Tesla ci porti novità e soluzioni applicabili anche ai comuni mortali che si muovono su secolari strade europee.
Grazie per il tono scherzoso del suo intervento. Vaielettrico non vuol essere né una rude pubblicazione di automobilismo (quelle amano il brum brum) né una raffinata rivista di architettura. Ci piace pensare che sia un luogo per scrivere e leggere qualcosa di interessante. Se legge qui sopra il dialogo fra il nostro collaboratore Giovanniedoardo Chiesa, che è un designer auto, e il nostro documentatissimo interlocutore Alberto Spriano troverà pane per i suoi denti
Mi associo a quanto detto da Massimo e la ringrazio per il commento spiritoso.
In più, vorrei aggiungere che ha fatto bene a citare l’esempio della Panda. Credo che l’economicità del prodotto finito sia stato il risultato (e la sintesi) di una visione progettuale incentrata sulla semplicità e sull’efficienza: dall’architettura del veicolo, ai processi di lavorazione, passando per l’assemblaggio dei componenti.
Qualora Cybertruck riporti all’attenzione del settore automobilistico l’approccio adottato all’epoca da Giugiaro (le somiglianze non mancano), sarebbe di grande aiuto da un punto di vista manifatturiero e comunicativo.
Grazie Alberto per aver espresso un’analisi dettagliata sul progetto.
Naturalmente non discuto la qualità del concept da un punto di vista ingegneristico (sebbene vi siano già dibattiti online sull’efficienza aerodinamica del veicolo), ma piuttosto il suo significato, in relazione al contesto storico e culturale in cui è stato presentato.
Proprio nel momento in cui si sta cercando di compiere (non senza difficoltà) una rivoluzione strutturale della mobilità, ponendo come fondamento di quest’operazione il valore della sostenibilità, temo che Cybertruck possa rappresentare un’evasione rispetto a questa problematica.
Chiaro è, che per ridurre i costi di produzione dovranno impiegare meno energia, semplificando le lavorazioni grazie a quel design, eliminando le presse, privilegiando il taglio e la piegatura della lamiera in acciaio.
Questo autocarro, perché sembra che per guidarlo servirà la patente C, sarà però pesantissimo. Ragion per cui, ha ragione Lei, la sua massa inciderà sui consumi di energia e potrebbe penalizzarlo ponendolo al vertice dei mezzi elettrici più energivori. Però, se guardiamo all’efficienza delle Model 3, si resta sbalorditi. Per cui non è così scontato che il Cybertruck sarà energivoro come pensiamo.
Personalmente smanio di sapere quanto pesa il Cybertruck trimotore e che tipo di disegno strutturale ha la piattaforma progettata dagli ingegneri Tesla, perché sottoporranno il Cybertruck a delle sevizie inimmaginabili: atterraggi devastanti dopo salti da rally dei Mille dei Laghi, dove devi avere un telaio leggero, rigido e resistente a pressoflessione e torsione e sospensioni indistruttibili ed è qui che vedo un’ulteriore sfida tecnologica per Tesla.
Se sono riusciti a soddisfare tutti questi requisiti:
– minor impiego di energia nella produzione
– minor costo di produzione
– costo di vendita paragonabile agli altri truck
– alta efficienza energetica nell’uso
– resistenza alle sollecitazioni del telaio e della carrozzeria.
Allora, non ci resterà che toglierci il cappello, quando passerà il Cybertruck.
Per il resto, vorrei vedere presto una Mini Tesla con dimensioni da segmento B o C ad un presso inferiore al Volkswagen ID.3.
Ma prima devono accontentare il loro pubblico.
Concordo, Alberto, nell’osservare Cybertruck come un possibile punto di partenza per una semplificazione progettuale “trasversale” nel settore auto (soprattutto nei processi di lavorazione che “plasmano” il prodotto finito). Sarà interessante attendere i prossimi passi di Tesla per capire meglio il ruolo del pick-up nella politica aziendale.
Negli USA il pick-up, per loro: “truck”, è il mezzo più diffuso nella sterminata provincia americana. È stato così fondamentale che è diventato uno dei miti indispensabili degli Stati Uniti.
Il truck, quel pick-up ruggine e fumante, ha accompagnato i tanti esodi del popolo americano, uno su tutti, quello descritto in Furore da John Steinbeck sulla Route 66. L’esodo della famiglia Joad dall’Oklahoma alla California, la fuga da tempeste di sabbia come quella del 10 e 11 maggio 1934, quando i tornadi sollevarono 300 milioni di tonnellate di detriti in una regione che venne chiamata the Dust Bowl, il Catino di Polvere.
Da allora i truck sono diventati indispensabili in tutti gli stati americani ed hanno compiuto imprese ineguagliabili salvando famiglie da tempeste, tornadi e carestie, aiutandole nella ricerca della terra promessa.
Per questo e non solo per questo, oggi rappresenta un’avvincente sfida realizzare un truck elettrico, proprio lì dov’è nato e si è evoluto, sempre più grande e poderoso.
Qualcuno ci sta provando e con successo a quanto pare.
Tanto successo.
Questo truck Tesla venderà negli US più dell’intera gamma di vetture Tesla e diventerà un mito dall’Alaska al New Mexico.
Sono pronto a scommetterci.
Nessun ritorno al passato.
Sembra non sia possibile stampare le prescelte lamiere di acciaio inox da 30 mm di spessore. Anche gli angoli di piegatura richiedono una pressione elevata e profonda all’interno della curva, perché le lamiere sono laminate a freddo ed è così che è stato realizzato il prototipo.
Prima il disegno sulla lastra ritagliato con il laser o un getto d’acqua a pressione elevata poi, la lamiera di acciaio inossidabile viene piegata, come gli origami, e saldata in forma.
Un enorme risparmio di costi anche e soprattutto nell’intero processo produttivo in quanto rende superflue le macchine per stampaggio e si presta bene all’assemblaggio laser robot.
Questa è la ragione del design Angular Steel: eliminare le fasi di stampaggio risparmiando sui costi di produzione, oltre a ridurre significativamente tempi di produzione ed energia impiegata.
Dal punto di vista della produzione, tuttavia, Tesla ancora non ha spiegato ii nuovi metodi e processi produttivi per soddisfare la domanda della Cybertruck in quanto non è possibile utilizzare i tradizionali processi di assemblaggio. Pertanto, i metodi di produzione di Tesla per Cybertruck saranno fondamentali per il suo successo.
Il design del Cybertruck è oltre il funzionalismo, in quanto non segue le prestazioni funzionali del mezzo, quanto la riduzione delle lavorazioni, dei tempi e dei costi della produzione.
Nel frattempo si commenta impropriamente il design come Decostruttivo secondo la traduzione linguistica e semantica di Jacques Derrida, della Destruktion heideggeriana dei concetti della metafisica applicata all’architettura decostruttivista. Ma così non è, in quanto il Decostruttivismo e caratterizzato da una geometria instabile con forme pure che vengono disarticolate e decomposte e successivamente ricostituite da frammenti, da volumi deformati, con tagli, asimmetrie e una totale assenza di canoni estetici tradizionali.
Il Cybertruck è invece così omogeneo e coerente nella forma da sembrare monolitico.
Alcuni lo definiscono stealth, ma così non è perché non è stato progettato per renderlo impercettibile ai radar, anche se sono stati impiegati angoli più vicini a 120° (l’angolazione steath) evitando gli angoli a 90° e le superfici tonde che sono riflettenti.
Il progetto Cybertruck è semplicemente geniale: tutti ne parlano, e impropriamente, rifacendosi a paradigmi stilistici e aerodinamici, molti lo interpretano personalmente, ma gli obiettivi del design non sono estetici, è la risposta a precise istanze produttive:
– eliminare le fasi di stampaggio e le presse
– risparmiare sui costi di produzione
– ridurre i tempi di produzione e l’energia impiegata.
Se ne parla continuamente, viene apprezzato sempre di più e ridurrà i costi. Di produzione, ovviamente.