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Crisi climatica, “non fare” costa più che contrastarla

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La crisi climatica
whatsapp sharing buttonContrastare la crisi climatica con investimenti nella decarbonizzazione costa tanto, ma molto meno di quanto costino i suoi effetti sull’ecosistema del Pianeta. Lo dice uno studio realizzato dalla società globale di consulenza Boston Consulting Group (BCG) in collaborazione con il World Economic Forum. Lo studio sarà discusso durante il meeting annuale di Davos, in programma dal 20 al 24 gennaio.  
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Anche il mega incendio che sta distruggendo Los Angeles è una conseguenza della crisi climatica

I disastri naturali sono sempre più frequenti e sempre più devastanti, come vediamo in questi giorni con il rogo di Los Angeles e poco prima con l’alluvione a Valencia. Tanto  da rappresentare ormai una minaccia concreta per l’economia globale e per la sostenibilità delle imprese. Il rapporto sottolinea perciò la necessità di un’azione immediata.

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fonte: Boston Consulting Group

Boston Consulting: non investire contro la crisi climatica produrrà un calo del Pil mondiale fino al 15% a fine secolo

Il rapporto di BCG stima che per mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2°C sarebbe necessario investire ogni anno circa il 2% del Pil mondiale in mitigazione (decarbonizzazione dell’economia) e l’1% in misure di adattamento alla nuova situazione climatica.

Ma si eviterebbe così una decrescita del Pil globale del 10-15% a fine secolo. E l’inazione comporterebbe gravi ripercussioni sulle imprese. Senza adeguati investimenti in adattamento potrebbero perdere tra il 5% e il 25% della loro redditività (EBITDA) entro il 2050.

«I costi legati ai danni climatici sono più che raddoppiati negli ultimi due decenni, raggiungendo più di 1.000 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2024» commenta Amine Benayad, il direttore associato di BCG che ha curato il rapporto. «Di fronte a questa sfida – aggiunge -, è urgente che i leader aziendali si assumano la responsabilità dei rischi e delle opportunità legati al cambiamento climatico».

Le aziende che adottano strategie di adattamento e mitigazione alla crisi climatica possono infatti beneficiare di un significativo vantaggio competitivo. Secondo il rapporto, gli investimenti in queste strategie potrebbero generare ritorni compresi tra i 2 e i 19 dollari per ogni dollaro speso. Mentre le aziende che ignorano il cambiamento climatico rischiano una perdita fino al 50% dell’EBITDA in caso di un’efficace implementazione della tassa sul carbonio.

La decarbonizzazione? Un business da 14 mila miliardi

In uno scenario di transizione in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (+ 1,5°C a fine secolo), la maggior parte delle industrie dovrebbe ridurre le proprie emissioni di carbonio di oltre il 50%. Ma nel contempo lo sviluppo delle tecnologie verdi genererà un giro d’affari legato alla decarbonizzazione tre volte superiore all’attuale: da 5.000 a 14.000 miliardi di dollari nel 2030. Rappresenta quindi una straordinaria opportunità per le aziende nei settori come energie alternative, trasporti sostenibili e prodotti di consumo.

Anche le tecnologie di adattamento stanno attirando forti investimenti. Per esempio, i nuovi materiali da costruzione, le tecnologie agricole resilienti e le assicurazioni parametriche. Dichiara infatti Pedro Gomez, membro del comitato esecutivo del World Economic Forum: «Lavorando insieme, i governi e le imprese possono trasformare il rischio climatico in un catalizzatore di innovazione, resilienza e prosperità».

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15 COMMENTI

  1. ESATTO!!!

    Il dilemma dei politici è:

    – pagare i danni climatici con i soldi degli altri (i nostri);

    oppure

    – limitare i danni rinunciando ai soldi nostri (i loro);

    cosa decideranno secondo voi?

  2. Onestamente per il rogo di Los Angeles non mi schiero ne verso Trump, deprecabile lo sfruttamento di questa vicenda a fini politici, però neppure chi lo usa come l’ennesima testimonianza dei cambiamenti climatici.
    Ci sono più voci che evidenziano che i roghi di Los Angeles potrebbero esser stati provocati da problemi nella rete elettrica. Whisker Lab, una società che raccoglie dati da sensori in grado di monitorare problemi sulla griglia delle forniture energetiche sostiene che il suo sistema ha rilevato segni di stress sulle linee elettriche vicino ai luoghi da cui sono partiti i roghi prima che divampassero le fiamme.
    Come pure piromani squilibrati che si divertono ad appiccare incendi.
    Questo non vuol dire che i problemi climatici non esistono ma neppure che qualunque effetto superiore che coinvolga la natura va riferito a loro.
    Non so se avete letto dell’impianto fotovoltaico nell’entroterra di Zara spazzato via dalla bora, 5 milioni di danni e 5 MW di potenza gravemente danneggiati e circa 12.000 utenze impattate.
    Si, il clima sta cambiando ma anche per questo bisogna comprendere quali siano i giusti investimenti e diversificare il più possibile. Basarsi su una sola fonte può essere un problema invece che una soluzione.

    • l’impianto FTV può essere fatto a prova di grandine (con vetri leggermente più spessi oppure con inseguitori che mettono in verticale i pannelli alla bisogna)
      o anche di Bora (in Australia li montano anche in aree con venti estremi)

      poi la notizia completa di Whisker lab era: ” potrebbe essere stato causato da linee elettriche, ma per certo è alimentato dalla siccità sempre più presente a causa del cambiamento climatico”

      in più articoli lo spiegano, nella zona ci sono piogge intense in brevi periodi che fanno crescere vegetazione, e poi periodi di caldo e siccità che seccano tutto rendendola una polveriera come di paglia in caso di incendio, e anche la ventosità è aumentata

      citavano anche che le loro linee elettriche poi sono arretrate, con cavi aerei che al vento possono toccarsi e scintillare, si aggiunge alle sigarette e alle auto e ai piromani come cause di innesco

      dopo gli incendi, le linee elettriche le rifanno migliori, e spesso anche interrate, stanno spendendo parecchio; leggevo è una delle cause delle bollette alte in California, insieme al peso degli ultimi investimenti sbagliati sul metano e cattiva gestione degli enti che lì gestiscono le reti

    • Nessuno può dimostrare in maniera equivocabile che mio padre, morto di tumore ai polmoni, è morto A CAUSA del fumo. Potrebbe essere stato un qualche composto chimico. Ma la statistica dice che chi fuma ha una probabilità più alta di morire di varie malattie, tra le quali il tumore ai polmoni, rispetto a chi non fuma.

      La crisi climatica funziona allo stesso modo: nessuno può dimostrare che gli incendi di Los Angeles, in cui alcuni miei amici hanno perso la casa, o il 2024 particolarmente caldo, o l’alluvione che ha colpito Valencia qui in Spagna, siano causati direttamente dai gas serra che immettiamo nell’atmosfera. Ma la statistica dice che molti fenomeni, sono in netto aumento, e correlati molto bene con l’aumento delle temperature causate dall’aumento di gas serra di origine antropica.

      Purtroppo, a differenza del fumo, non abbiamo un pianeta di riferimento, identico al nostro, ma privo di industrie che generano gas serra, per cui è complicato avere un riferimento assoluto.

      Ma cullarsi continuando con queste discussioni di lana caprina è estremamente rischioso. Perché tutto dice che le cose stanno peggiorando. Lo sanno anche le società di assicurazione che negli USA ora si rifiutano di rinnovare i contratti in molte zone del paese oggetto di maggiore rischio climatico. E di solito quando ci sono soldi di mezzo c’è da credergli.

  3. il grande rogo di Los Angeles dovrebbe render chiaro anche ai più ottusi che l’alternanza di fenomeni estremi (lunghi periodi piovosi e lunghi periodi siccitosi) rende molto, molto difficile contrastare questi eventi tragici, magari innescati da cause “naturali” (un fulmine?) o di natura antropica (un incidente, un atto doloso, un guasto) che nelle nostre attuali zone abitabili diventano estremamente costose (come danni), spesso tragiche nel bilancio di vittime umane (a L.A. al momento solo 10, ma a Valencia 222 per fenomeno opposto).
    Tutto ciò avrà pesanti conseguenze non solo in USA (ad ora stimati 50 miliardi di dollari di danni) ma anche nel resto del mondo.
    Si dice che “prevenire è meglio che curare”… ma al momento non abbiamo completato nessuna “cura” stabilita a Parigi 10 anni fa.. e adesso stiamo per diventare malati da gravi a gravissimi…. visto che il riscaldamento climatico ed i suoi danni stanno accelerando di ritmo oltre le iniziali previsioni e ” pagheremo ” tutti un duro prezzo.
    Qui l’articolo chiude evidenziando anche gli aspetti positivi, con le opportunità di giro d’affari nell’investire nelle nuove tecnologie per contrastare e (magari!) ritornare verso un clima meno alterato e pericoloso….
    Speriamo che siano sempre di più le persone “di buona volontà” che capiscano quali occasioni dobbiamo cogliere, quali nuove strade intraprendere… un cambio di mentalità indispensabile… che riguarda veramente tutti.

    • Sono esterrefatto per il cinismo di Trump che proprio mentre la California brucia allunga le grinfie sulla Groenlandia. Vi siete chiesti perchè? Non sarà che lo scioglimento dei ghiacci (forse il più grave cataclisma innescato dal Global Warming) renderà sfruttabili le risorse fossili della Verde Terra artica? Guardatevi il film “Don’t Look UP” e ditemi se la realtà non sta davvero superando la fantasia. Per chi ha molta voglia di leggere consiglio anche le 1.400 pagine di “Diluvio”.

      • “Don’t look up” è il prequel non dichiarato di “Soylent green” (ambientato nel 2022) con un legame diretto a “Idiocracy” che spiega bene perché siamo arrivati a questo punto.
        È proprio vero che non c’è da avere paura dei film fantastici e di fantascienza, ma di quelli tratti, o traibili o appena appena futuribili, dalla realtà contemporanea.

      • non credo che il novello “Nerone ” Trump suoni la cetra mentre L.A. brucia…
        sicuramente non è per nulla interessato alle conseguenze delle trivellazioni (“drill, drill, drill !!” è il suo nuovo mantra), del fracking, dell’uso di petroliere (ogni tanto ne affonda qualcuna da qualche parte ( pochi si possono/vogliono permettere flotte nuove ed a basse emissioni… la stragrande maggioranza dei trasporti terrestri o marittimi avviene con mezzi vecchi e malandati) e soprattutto si preoccupi dei continui record di temperature globali o scioglimento dei ghiacci polari.
        La Groenlandia è sicuramente un bacino interessante per scoperte minerarie, ma credo costituisca più che altro una forma di “avvicinamento al polo nord” (già ampiamente colonizzato da basi militari russe) rispetto all’Alaska ( anche il Canada sarebbe utile all’espansione dei territori da controllare e sfruttare se, incredibilmente, decidesse di diventare il 51mo stato USA). Magari conta anche la preoccupazione di trovare nuove terre “emerse” sfruttabili, considerando che di questo passo in tutti gli stati confinanti con mari ed oceani ci saranno imponenti perdite di territorio sfruttabile, o perché direttamente sommerso (anche l’Italia ne conta parecchi già in un futuro non molto lontano) o a causa del “cuneo salino” che renderà le falde acquifere inutilizzabili per uso alimentare ed agricolo.

        Ai posteri l’ardua … sopravvivenza.

        • Certo: l’avidità di certi personaggi non conosce limiti, nemmeno con il Pianeta sull’orlo della catastrofe. E per chi potrà permetterselo, Musk prepara la fuga su Marte… Non a caso ho citato Dont’Look Up.

          • non mi dispiacerebbe che riuscissero ad organizzarsi subito una bella “vacanza su Marte” lasciando in pace noi terrestri..

      • Altro ottimo testo che ho letto sull’argomento è “The Uninhabitable Earth: Life After Warming”, di David Wallace-Wells.

        Cita tra gli altri uno studio che ha calcolato il rapporto la responsabilità di ogni Paese nel causare i cambiamenti climatici e i danni che ne deriveranno per lo stesso Paese.

        E qual è il paese che, pur contribuendo grandemente all’immissione di gas serra nell’atmosfera guadagnerebbe di più da un graduale innalzamento delle temperature medie?

        Ma la Russia, naturalmente. La stessa Russia che finanzia la sua economia (di guerra) con la vendita di combustibili fossili.

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