Coronavirus, l’auto elettrica va in quarantena

Coronavirus, l’industria globale dell’auto elettrica va in quarantena. Chiuse più di metà delle fabbriche cinesi e ora sono a rischio le forniture in Occidente.

La piccola AppScooter alza bandiera bianca

L’olandese Etergo è una delle più innovative start up del mondo elettrico. Secondo molti osservatori il suo attesissimo AppScooter potrebbe diventare per le due ruote elettriche ciò che Vespa fu, a suo tempo, per quelle termiche.

I fondatori di Appscooter Bert Rosier e Maijn Flipse

Eppure ieri ha annunciato a migliaia di sottoscrittori già pronti a ricevere i primi esemplari che i piani cambieranno. La produzione di serie, infatti, prenderà il via con «qualche settimana di ritardo». Causa: il mancato arrivo di componenti chiave dalla Cina. L’epidemia da coronavirus irrompe così nel nuovo universo della mobilità elettrica.

E le grandi dell’auto vanno a singhiozzo

Un universo che dipende dal colosso asiatico molto più di ogni altro. Compreso quello dell’automotive in generale che pure utilizza il Made in China per oltre il 20% della sua componentistica. Nei veicoli elettrici, la percentuale sale vertiginosamente. Elettronica, cablaggi, motori, trasmissioni, ma soprattutto le batterie, sono dominio incontrastato e quasi esclusivo dei produttori cinesi. Che li forniscono a tutte le case auto del mondo.  Molte delle quali insediate con i propri stabilimenti proprio nella regione epicentro dell’epidemia.  Wuhan e la regione del Hubei sono infatti uno dei principali hub della filiera automobilistica cinese. Rappresentano il 9% della produzione automobilistica totale, secondo S&P Global Ratings.  General Motors, Nissan, Renault, Honda e il gruppo PSA hanno tutti grandi fabbriche a Wuhan . L L’area è ora in quarantena, con circa 60 milioni di persone barricate in casa o comunque limitate negli spostamenti.

A Wuhan si ferma il 9% dell’automotive cinese

Il gruppo PSA ha chiuso il suo stabilimento da metà gennaio. Non si sa se riaprirà oggi, come aveva inizialmente annunciato. Se lo stop si prolungherà il gruppo potrebbe avere difficoltà logistiche di approvvigionamento anche negli impianti europei. L’associazione automobilistica cinese ha affermato che solo 59 fabbriche della filiera automobilistica su 183 hanno ripreso la produzione al termine delle festività del Capodanno cinese. E questo potrebbe innescare un'”effetto farfalla” sugli  stabilimenti automobilistici di tutto il mondo.

Le conseguenza dell’epidemia potrebbero quindi essere catastrofiche per la filiera mondiale delle EV che guardava al 2020 come l’anno della consacrazione. Che ne sarà dei 23 nuovi modelli pronti al debutto e di quelli appena lanciati per essere consegnati nel primo trimestre di quest’anno? Quanta produzione dovranno tagliare le case auto europee e americane per mettersi al passo con i fornitori cinesi alle prese con città blindate e canali di logistica interrotti?

Inizio 2020 a precipizio per l’auto cinese 

Gli effetti del coronavirus sull’industria dell’auto cinese si sono già drammaticamente manifestati in gennaio con un crollo della produzione e delle vendite superiore al 20% (meno 54%, in particolare, le immatricolazioni di auto elettriche). E per febbraio si stima addirittura un meno 50%. Producono a singhiozzo gli stabilimenti cinesi di Volkswagen, Gm, Renault, e a cascata si sono bloccate le fabbriche in Corea di Hyundai-Kia e quelle in Giappone di Nissan e Toyota.

Quando le fabbriche auto in Cina hanno chiuso il mese scorso per le festività del capodanno, l’industria era già sotto pressione: le vendite erano in calo da due anni a causa della perdita di incentivi fiscali per le auto elettriche e del rallentamento dell’economia. La nuova tegola del coronavirus minaccia di aggravare la situazione provocando la recessione più profonda della recente storia industriale cinese.
Una catena di montaggio nello stabilimento di Dongfeng Honda a Wuhan, in Cina.
Una catena di montaggio nello stabilimento di Dongfeng Honda a Wuhan.
Secondo un report pubblicato mercoledì scorso da S&P Global Rating, l’epidemia costringerà le case auto in Cina a tagliare la produzione di circa il 15% nel primo trimestre. «È una situazione molto fluida», ha dichiarato mercoledì Mary Barra, CEO di GM, durante la presentazione del bilancio. La società sta lavorando con i suoi partner cinesi e le autorità sanitarie locali per assicurarsi che la catena di approvvigionamento non venga interrotta.

Anche la Toyota produce il 15% delle sue auto in Cina.  Aveva previsto di riavviare la produzione il 10 febbraio, ma è stato costretto a mantenere chiusi i suoi 12 impianti di joint venture in Cina almeno fino alla prossima settimana. «La situazione varia a seconda dell’impianto, quindi non possiamo dire con certezza se riprenderemo la produzione in tutti gli impianti dal 17 febbraio», ha detto un portavoce. Molto dipende da quel che deciderà di fare il governo di Pechino per arginare il contagio.

Le  primeTesla made in China escono dallo stabilimento di Shanghai. Era il 7 gennaio: subito dopo è scattato il lungo stop di Capodanno per il coronavirus

Gli analisti di S&P Global Ratings non escludono che anche gli stabilimenti automobilistici di Shanghai e Tianjin – a diverse centinaia di chilometri da Wuhan – potrebbero essere bloccati per un periodo prolungato. Questo provocherebbe l’arresto  di metà della produzione cinese di auto e ricambi. Lo stabilimento appena varato da Tesla a Shanghai ha subito uno stop nei giorni scorsi ma sembra aver superato il problema. Tesla, che si approvvigiona da più aziende in Cina, ha comunque affermato che la produzione verrà ritardata nel suo nuovo stabilimento a Shanghai.  Hyundai ha sospeso la produzione questa settimana nei suoi stabilimenti in Corea del Sud perché il coronavirus ha interrotto la fornitura di parti. Il settore automobilistico coreano si rifornisce per il 29% dei suoi componenti dalla Cina.

Il collo di bottiglia della componentistica

Simon MacAdam, economista globale di Capital Economics ha affermato che la decisione di Hyundai sottolinea l’importanza della Cina per le principali catene di approvvigionamento manifatturiere in tutto il mondo.«Anche le aziende che sembrano avere una bassa esposizione ai fornitori cinesi risentiranno indirettamente della crisi attraverso altri fornitori legati all’input cinese. Tutta la filiera può dipendere da pochi colli di bottiglia. Basta che manchi un solo componente di basso valore, ma cruciale, per arrestare la produzione a valle di valore molto superiore».

Più si prolunga la crisi, maggiore è la possibilità che le catene di approvvigionamento automobilistiche globali vengano danneggiate. La Cina è la base di produzione globale per motori elettrici, trasmissioni e altri componenti per veicoli elettrici. La tedesca Bosch, che è il più grande produttore al mondo di componenti per auto, possiede decine di impianti in Cina, di cui due a Wuhan. Altri fornitori di componenti tra cui Schaeffler, ZF Friedrichshafen, Faurecia e Valeo hanno operazioni significative nel paese. Un portavoce di Bosch ha dichiarato giovedì che molti stabilimenti sono ancora chiusi, ma potrebbero riaprire a giorni. Tuttavia «è ancora troppo presto per valutare l’impatto sull’azienda».
Se tutto questo è vero per il settore auto, potrebbe andare ancora peggio per la filiera delle due ruote e della micromobilità elettrica. Vengono infatti dalla Cina quasi tutti gli e-scooter (compresi quelli assemblati in Europa, come appunto AppScooter), tutti i telai e gran parte dei componenti elettrici delle e-bike, tutti i monopattini e gli hoverboard elettrici venduti in Occidente. Quello che si annunciava come l’anno d’oro della mobilità elettrica, insomma, potrebbe rivelarsi un anno perduto.

Così AppScooter fa i conti con il coronavirus

«Stiamo cercando di fare tutto quanto in nostro potere per minimizzare i ritardi, ma non è ancora chiaro quale sarà l’impatto esatto sulla nostra pianificazione» scrive Etergo a ch ha prenotato AppScooter. Ma lo stesso potrebbero presto dire ai loro clienti quasi tutti i big mondiali dell’auto.

Visualizza commenti (2)
  1. Luca Bartolozzi

    La unica soluzione sensata è tagliare fuori la Cina dalla supply chain. I danni alla VW, alla GM ed alle altre case automobilistiche sono meritate e conseguenza di scelte sbagliate all’origine. Tutte queste multinazionali hanno investito più in Cina che nei propri paesi di origine ed hanno reso l’industria dipendente dalla componentistica prodotta in un paese che NON E’ AFFIDABILE ed è una dittatura militare comunista. Volevo dire, perché non chiedere a Hitler di produrre le tue automobili od a Stalin di produrre tutti i tuoi motori? Lasciare che tutta le filiera della produzione delle batterie sia concentrata in Cina perché li ci sono gli schiavi e li non ci son le leggi che tutelano l’ambiente e puoi produrre rilasciando i prodotti chimici tossici della lavorazione nei fiumi, che poi vanno negli oceani, mi sembra una doppia presa in giro, sia da parte delle multinazionali occidentali che vogliono passare da ecologiste sia da parte del governo cinese che vuole fare il leader nel settore ambientale. Non dico di non produrre in Cina, ma solo di produrre in Cina per la Cina così da limitare i danni. E’ una fortuna che la FCA sia marginalmente influenzata dall’interruzione nella catena componentistica. Il fatto che solo la 500L prodotta in Serbia sia danneggiata è un monito. La soluzione è investire e produrre in occidente per il mercato occidentale. dite voi… ma dopo la concorrenza cinese mangerà quote di mercato con i loro prodotti… no, basta usare le stesse armi usate dai cinesi, ovvero dazi e tariffe che oggi impediscono a noi occidentali di esportare direttamente in Cina. la reciprocità è una grande cosa e alla fine del salmo, quando le condizioni commerciali sono identiche, ci si accorge che produrre in Cina non è affatto competitivo come sembra. Spero vivamente che le stolide scelte di Mary Barra della GM siano punite col suo licenziamento e che la VW si veda costretta ad annullare in toto la produzione di ogni ID a causa della mancanza di componenti cinesi. Sarebbe una lezione che si meritano. Investite in Europa per il mercato europeo. Investite in Nord America per il mercato americano. Posti di lavoro, diritti sindacali, leggi a tutela dell’ambiente che regolano la produzione saranno garanzia di benessere VERO per tutti.

    1. Condivido alcuni suoi ragionamenti. Per esempio la pretesa di reciprocità commerciale, il giusto richiamo alla sostenibilità del processo produttivo e l’esigenza di mantenere in Europa (sottolineo in Europa) la filiera dell’auto elettrica, a partire dalle batterie. Il pregiudizio ideologico e i paragoni con Hitler e Stalin, invece, mi sembrano fuori luogo. La Cina è una realtà politica, economica e industriale dalla quale nessuno può prescindere. E’ più efficace dialogare che lanciare bellicose crociate come sembra voler fare, ripetutamente, lei. Questo vale a maggior ragione per il suo secondo commento che poco ha a che fare con i temi di questo sito e molto con la pura propaganda politica. E perciò non sarà pubblicato.

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