COP 29 si chiude con un’intesa a tempo scaduto e al minimo comun denominatore. Una delusione, insomma. I Paesi ricchi tengono il punto: 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, nulla di più, per sostenere quelli in via di sviluppo e svantaggiati nella lotta ai cambiamenti climatici. Questi ultimi protestano per il quanto (chiedevano 500 miliardi) e il come (nessun impegno vincolante).
Si profilava quindi il fallimento totale della COP di Baku sulla finanza climatica. Ma alla fine, a notte inoltrata, i ministri hanno sottoscritto un documento conclusivo che recependo il suggerimento europeo di una “Roadmap da Baku a Belém” su tempi e i modi della raccolta ha sbloccato la situazione.
COP 29 si chiude con un compromesso: dodici mesi di tempo per definire modi e tempi di una pacchetto finanziario da 1.300 miliardi per il clima
Alla COP 30 in Brasile, così, si dovrebbe arrivare con “munizioni climatiche” per un totale di 1.300 miliardi di dollari annui entro i prossimi 10 anni. Di questi 300 a carico degli Stati più ricchi, in parte a fondo perduto, e il rimanente a carico dei privati attraverso vari meccanismi, tra cui il mercato dei crediti di carbonio.
Se lo fa bastare il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: «Avevo sperato in un risultato più ambizioso, sia sul piano finanziario che su quello della mitigazione, ma questo accordo fornisce una base su cui costruire. Deve essere rispettato: gli impegni devono diventare rapidamente denaro contante».
L’Unione Europea puntava a impegni precisi sull’abbandono dei carburanti fossili e il taglio delle emissioni di gas serra, ma il commissario uscente, Wopke Hoekstra si accontenta: «Siamo riusciti a salvaguardare Dubai e a fare qualche passo avanti. È meno di quanto avremmo voluto, ma è meglio di quanto temevamo».
Per Luca Bergamaschi, Direttore e Co-fondatore di ECCO, il think tank italiano per il clima «gli interessi legati all’economia dei combustibili fossili, attraverso i Paesi produttori come Arabia Saudita e Russia e le imprese fossili, hanno prevalso sia alla COP29 che al G20 di Rio». Giocano “sporco” sbandierando la neutralità tecnologica e «false soluzioni» come gas, biocombustibili e nucleare, per bloccare l’innovazione «a favore di pochi ma forti interessi economici».
Tuttavia già è qualcosa aver salvato la formula della COP, che «rimane il luogo principe per trovare soluzioni comuni per il clima. Questa è una buona notizia» dice Bergamaschi. E’ però necessario un salto di qualità nella rappresentanza dei Paesi: «I Ministri dell’Ambiente stanno esaurendo il loro raggio d’azione. Senza il coinvolgimento dei Ministri delle finanze, dell’industria e dei Capi di Stato e di Governo, l’azione per il clima rimarrà inadeguata».
Ora la possibilità di rientrare negli obiettivi climatici di Parigi (più 1,5 gradi a fine secolo) si gioca sull’asse Europa-Cina
Nel merito Eleonora Cogo, Esperta Senior, Riforme della finanza internazionale di ECCO, definisce l’accordo «solo il punto di partenza» di un percorso che da qui a Belem dovrà «garantire che si trovino le risorse necessarie». Ma l’ingresso della Cina come contributore è «un segnale importante che dimostra anche che è meglio scommettere sulla decarbonizzazione». Oggi, aggiunge «le regole del gioco scoraggiano gli investimenti verso i Paesi in via di sviluppo: è necessario cambiarle per garantire le risorse necessarie per un’azione climatica equa e incisiva».
I prossimi 12 mesi che porteranno alla COP30 in Brasile saranno decisivi per mantenere un traiettoria compatibile con l’obiettivo climatico di non superare la soglia dei più 1,5 gradi di aumento delle temperature globali a fine secolo. Entro la scadenza del prossimo anno tutti i Paesi dovranno presentare i nuovi obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni. E’ indispensabile che siano drasticamente più ambiziosi di quelli attuali che porterebbero a 2,5 gradi di riscaldamento globale.
COP 29 si chiude in un contesto geopolitico che non autorizza grandi speranze, dopo le elezioni di Trump negli Usa e di Milei in Argentina, la fragile riconferma di Ursula Von der Leyen e del Green Deal europeo, l’escalation militare in Europa e Medio Oriente. Solo un nuovo livello di collaborazione tra Europa e Cina può riaccenderle. Con altre economie emergenti del G20, tra cui Brasile, Sudafrica, Turchia, India e Indonesia, formano l’unico blocco che condivide un interesse reciproco nel ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati, costruire mercati verdi globali e costruire partnership per lo sviluppo.
Ormai il COP è diventato inutile.
Gli unici che possono fare la transazione siamo noi, nel nostro piccolo, con le nostre scelte.
E quando tante persone faranno la scelta di non utilizzare più i fossili (e le possiblità ci sono), i fossili non ci saranno più.
Signor Caprone, ma lei davvero vuol privare tanti bravi e onesti “policy maker” del piacere di farsi un bel viaggetto in jet in qualche posto insolito, spesati di tutto, a pappar leccornie in alberghi stellati… e tutto il repertorio che glòi va appresso?
Lei è proprio senza cuore, lo sappia. 😉
🤣🤣
Finchè non si sistemano le “guerre” tutto il resto , ambiente compreso passa in secondo piano. Triste ma dura realtà del nosto periodo. Poi dare soldi ai BRICS , ma che se li tirino fuori loro i soldi, soldi che poi useranno per armi altro che ambiente…
L’ONU che dovrebbe gestire un minimo di ordine mondiale che ormai è solo la ciracatura di se stessa… brutto periodo.
Io non avrei messo neanche quei 300 a fondo perduto ma con tasso di interesse Almenno al 2% e devierei parte del fondo al rafforzamento dell’industria nostra e della difesa