Il sito di una società britannica specializzata in consulenze ambientali, Carbonfootprint, offre la possibilità a ciascuno di calcolare il peso del proprio stile di vita in termini di emissioni personali di CO2. Di stabilire, in pratica, la propria “impronta ecologica” sul pianeta. I risultati sono sorprendenti e preoccupanti.
Il G20 di Roma e il summit Onu Cop26 in corso a Glasgow (leggi) hanno posto la questione climatica e ambientale in primissimo piano. Con tutte le implicazioni geopolitiche che la sfida per l’ancora chimerico traguardo delle emissioni zero entro la metà del secolo inevitabilmente comporta. Argomento cruciale che, in questi giorni, tiene banco anche sul nostro sito. Ha suscitato un certo dibattito la proposta rilanciata dal professor Francesco Fuso Nerini, direttore del KTH Climate Action Centre di Stoccolma, che in una intervista a Vaielettrico.it ha illustrato il progetto messo a punto assieme ad altri colleghi di analoghi centri di studio internazionali.
Il dibattito sulle quote personali di carbonio
Piano che mira a promuovere l’applicazione, in un futuro più o meno prossimo, di “quote personali di carbonio”. Si tratterebbe, secondo i ricercatori, di attribuire a ciascun adulto una propria quota di emissioni di CO2 da potere spendere nell’arco dell’anno. La nostra vita quotidiana, da quel che compriamo e mangiamo, ai viaggi, ai consumi domestici eccetera vincolata, insomma, a una quota di emissioni personali predefinita. Esaurita la quale, o ci si ferma o si accede a un “mercato delle quote” sul quale andare a comprare le emissioni che altri, per stile di vita o le più diverse ragioni, hanno risparmiato o non hanno speso.
Come calcolare la propria “impronta ecologica”
Messa così sembra teoria futuribile. Eppure, a ben guardare, la possibilità di calcolare la propria impronta ecologica è già una realtà. Ne parla un articolo, a firma di Irene Soave, apparso in questi giorni sul Corriere della sera. Il giornale cita il lavoro di una società britannica di consulenza per la transizione ecologica, Carbonfootprint, che raccoglie dati in tutta Europa al fine ci calcolare l’impatto dei singoli individui sulle emissioni di CO2. Abitudini, comportamenti, scelta dell’auto, viaggi in treno o in aereo, uso di tv e smartphone, cibo, vestiti insomma tutto quanto come base per calcolare nel dettaglio quanto ciascuno di noi impatta sull’ambiente.
Una semplice verifica sul sito
Chi volesse andare sul sito di Carbonfootprint potrebbe facilmente accedere al calcolatore che la società inglese ha realizzato per consentire a ognuno di verificare la propria “impronta ecologica”. Seguendo il semplice percorso proposto dal calcolatore, è possibile ricavare l‘incidenza nell’arco dell’anno (ma è possibile farlo, per esempio, anche considerando l’intera vita) dei nostri comportamenti.
Il valore, sorprendente, di scelte e abitudini
Abbiamo inserito qualche dato, assolutamente indicativo, nelle tabelle proposte dal sito. Una spesa individuale annua di 5.000 euro per cibo e bevande, 500 per farmaci, 1.500 per abbigliamento, 200 per prodotti cartacei, 500 per tecnologie, 250 per tv e radio, 2.000 per hotel e ristoranti, 200 per il telefono, 3.000 per polizze assicurative, 1.000 per sport e attività ricreative comporta la produzione di 6,49 tonnellate di CO2.
Quanto pesa un’auto diesel sull’impronta ecologica?
Per quanto riguarda i mezzi di trasporto, abbiamo inserito i dati relativi all’uso di un’auto diesel da 140 hp per un chilometraggio annuo di 15.000 km. Risultato: 3,11 tonnellate di anidride carbonica. Uno scooter di cilindrata oltre 125 cc per 6.000 km annui produce 0,61 tonnellate di CO2. Tre voli in aereo andata e ritorno all’anno su una media tratta europea in classe economica comporta un’emissione individuale di 0,74 tonnellate.
Una classifica da brividi: il 25% della CO2 dai trasporti
L’articolo del Corriere, spiega che il 25% delle emissioni umane di CO2 deriva dai trasporti. La maglia nera va agli aerei che coprono rotte a breve raggio: a loro viene attribuito ben il 5% del riscaldamento globale. Ma anche starsene a casa a guardare un film in streeming comporta un costo ambientale. Nel 2009 le piattaforme tv erano responsabili del 2% delle emissioni. Oggi lo sono per l’8,5%. Il Programma ambiente Onu, cita il Corriere, ha calcolato che la produzione di vestiti, negli ultimi 10 anni, ha pesato per il 10% sulle emissioni causate dall’uomo. La produzione di un paio di jeans emette 34 kg di CO2: come guidare un’auto per 100 km. A questo si aggiunge l’uso di 10.000 litri d’acqua per ogni jeans prodotto (quanto beve un adulto in 10 anni).
Ma anche una bistecca…
Il 14% delle emissioni globali prodotte dall’uomo deriva dalla zootecnia. La carne a più alto impatto ambientale è, come risaputo, quella rossa. Per mettere in tavola una porzione di manzo si producono fino a 12 kg di CO2.
In definitiva, mentre i grandi della terra, con corollario di scienziati ed esponenti dell’industria e dell’economia, discutono a Glasgow, può essere interessante esercitarsi su questa di Carbonfootprint, come su altre piattaforme, per capire ciò che noi possiamo fare. Ogni giorno, senza aspettare il 2050 o 2060 o 2070.
Non vi fa incazzare che l’impronta ecologica, cioè il peso individuale sull’ecosistema, sia una tecnica di marketing di British Petroleum di 15 anni fa, creata apposta per spostare l’attenzione del problema dalle grandi multinazionali (poverette) ai miliardi di individui che popolano la Terra?
Ma siamo noi come singoli individui che contribuiamo al inquinamento, non vedo cosa c’entrano le multinazionali in questo caso.
Mancano molti dati da inserire, perché sul’impronta si dovrebbe anche considerare chi ha ettari di bosco e chi ha impianto fotovoltaico, quindi si ci può stare un emissione di CO2 ma dovrebbe anche sottrarre quella in negativo assorbita dai propri boschi e quasi zero se non in negativo quella prodotta e ceduta con il fotovoltaico, per me è aver un idea non la certezza di cosa produco.
Questi dati sono riferiti all’Italia- un mercato minuscolo in un pianeta immenso; oltretutto il calcolatore menzionato nell’articolo non era certo riferito all’Italia in esclusiva.
Se è il pianeta che dobbiamo salvare, consideriamo i dati planetari: fra i trasporti, il trasporto navale globale ed il trasporto aereo globale sono in assoluto i maggiori produttori di CO2, anche presi singolarmente; le navi cominciano ad andare a gas, ma questo non cambierà le emissioni CO2; gli USA vanno a carbone, ancora di più con Trump. Ed intanto l’Italia si è fieramente svenata per voler pagare carissima la sua energia, prodotta con le rinnovabili. Per favore, questo è il mondo reale, non una rappresentazione ideologica.
Roberto, non è vero quello che sta dicendo: trasporto aereo e trasporto navale non sono affatto in assoluto i maggiori emettitori di gas serra. E poi deve tener conto delle emissioni per tonnellata trasportata. E in questo il trasporto navale è il più efficiente in assoluto e quello privato su strada quello meno efficiente. Il mondo reale va letto bene, con un pò più di profondità, se lo si vuole cambiare.
I miei dati non erano corretti, chiedo scusa. Ho trovato ora la tabella che mi dà i dati del 2007 – il trasporto su strada vale circa il 20%. Se magicamente fosse tutto convertito in elettrico in un giorno, la CO2 emessa globalmente non diminuirebbe. Vale la pena di pensare urgentemente al rimanente 80% derivante da altre fonti, prima che diventi il 100% a valore assoluto costante.
https://www.europarl.europa.eu/resources/library/images/20191204PHT68259/20191204PHT68259_original.jpg
Lei ha sostenuto fin qui che navigazione e aviazione emettono molto più del trasporto su gomma, mentre ha verificato che emettono infinitamente meno. Ok. I suoi dati risalgono al 2017 (non al 2007, non facciamo confusione), ma nel frattempo le cose sono cambiate, perchè come le dicevo tutti gli altri settori (generazione elettrica, industria ecc.) hanno proseguito nell’efficientamento, mentre il trasporto su terra è l’unico settore che continua a peggiorare, sia in assoluto sia in rapporto al totale delle emissioni. Sa perché? Perchè è l’unico che non è riuscito ad affrancarsi dal petrolio. E’ vero che Europa, Stati Uniti e Giappone hanno imposto vincoli sempre più rigidi alle emissioni delle auto, ma l’aumento delle dimensioni e delle cilindrate (per esempio i Suv) ha prodotto comunque un aumento dei consumi e di conseguenza delle emissioni.
Alla luce di tutto questo non capisco perchè lei concluda che elettrificare il trasporto non produrrà alcun beneficio. Le pare poco dimezzare (ma ci vorranno vent’anni) quel 20? Il “restante 80%” ha cominciato da un pezzo, se ne faccia una ragione.
Iniziamo a trattenere il respiro perché potremmo dover fare un mutuo per una corsetta mattutina!
Interessante – per un confronto equo sarebbe giusto anche avere il valore dell’impronta di un’auto elettrica alimentata con energia prodotta dall’attuale mix di alimentazione delle centrali ( 85% fossili, il resto fra nucleare e rinnovabili).
Ma ancora più utile sarebbe poi un confronto col valore ottenuto simulando lo stesso parametro con energia esclusivamente proveniente da centrali nucleari + rinnovabili. (ormai anche i politici hanno il coraggio di ammettere che solo con le rinnovabili purtroppo non si va lontano).
Ragionando ancora sulle cifre riportate nell’articolo, è chiaro che l’introduzione delle auto elettriche da sola non servirà a ridurre l’impronta CO2. Infatti nel 25% di CO2 dovuto ai trasporti, il traffico aereo e navale è di gran lunga preponderante ed è assurdo immaginare navi ed auto elettriche; per cui oggi le povere auto termiche si stanno prendendo colpe non loro. Ragioniamo piuttosto contemporaneamente sulle centrali e sulla loro impronta CO2 – non facciamoci illusioni sulle rinnovabili e rivalutiamo un nucleare a fissione, pulito e di nuova generazione, in attesa della fusione nucleare. Allora avrà un senso anche stravolgere la vita di qualche miliardo di persone imponendo le auto elettriche, che oggi hanno un vero senso solo per chi le produce e spera di rinvigorire così un mercato che sta declinando.
Sono assolutamente d’accordo. L’Europa è diventato um mercato di sostituzione per il settore automotive, La svolta green serve alle case costruttrici e ai governi per “imporre” la rottamazione di centinaia di milioni di veicoli funzionanti. Non è questo un esempio di consumismo sfrensto? Proprio quel consumismo che si vuole combattere. Nell’articolo si pone l’indice contro la solita auto diesel che per 15000 km emette 3 tonnellate di co2, ma intanto si vieta la circolazione alle auto a benzina euro 0 e 1. Sapete qual è la media dei km annui di unamacchina euro 0 o 1: tra 500 e 1000 km annui con una produzione di 150 kg di co2 l’anno, la metà di quanto produce un uomo respirando. Siamo sicuri che la guerra di religione contro le vecchie auto vada nella direzione della sostenibilita ambuentale? È più accettabile tenersi wualche milione di auto che emettono la meta di una persona o costringerle a comprare una macchina nuova con tutto quello che costa, in termimi di impronta di co2, produrla?
La pensi come crede, ma non falsifichi i dati. Il mix energetico italiano è il seguente: rinnovabili 43%, gas natuale 46%, carbone 6%, importazione da nucleare per il rimanente. Il trasporto incide per il 29,5% sulle emissioni totali, quello su strada rappresenta il 70% del totale. Le altre fonti di emissione sono: la generazione elettrica e l’industria energetica (31,3%), l’industria manifatturiera e le costruzioni (15%), l’agricoltura (23,4%), altro (0,8%). Tranne i trasporti, in continuo aumento, tutti gli altri settori hanno ridotto le loro emissioni fra il 30 e il 20% dall’accordo di Kyoto in poi.
si chiama Roberto … per caso di cognome fa Cingolani ?
solo perché l’elenco di fesserie totali è assolutamente identico a quelle sostenute dal….ministro
🙂
Vacci piano con gli insulti, Luca. Chiaro?
complicato trattenersi con perle tipo
‘(ormai anche i politici hanno il coraggio di ammettere che solo con le rinnovabili purtroppo non si va lontano)’
spendendo l’1% del pil globale ogni anno da oggi fino al 2030 solo in rinnovabili ed accumuli si rende pulito il 100% del consumo elettrico planetario, in realtà si produrrebbe 4 volte il consumo elettrico planetario annuale consentendo quindi estendendo l’applicazione di nuove tecnologie (precision fermentation) e nuovi materiali e tecniche produttive soprattutto nei settori sensibili chimico e industriale la quasi totale eliminazione di ogni fonte fossile esistente dai consumi energetici
che draghi dica che solo rinnovabili per la sola elettricità al 2050 è ‘irrealistico’ e cingolani sostenga il nucleare a fissione come soluzione immediata rende solo l’idea di chi ci amministra … che poi i nostri eroi non sono diversi dagli altri visti alla COP26 che fanno passare per un successo clamoroso l’azzeramento della ‘deforestazione ILLEGALE’ (quindi la legale rimane) al 2030 mentre nel 2015 avevano sottoscritto l’agenda 2030 che stabiliva ”Entro il 2020, promuovere una gestione sostenibile di tutti i tipi di foreste, arrestare la deforestazione, ripristinare le foreste degradate e aumentare ovunque, in modo significativo, la riforestazione e il rimboschimento’ (punto 15.2 dei ‘traguardi’, https://unric.org/it/obiettivo-15-proteggere-ripristinare-e-favorire-un-uso-sostenibile-dellecosistema-terrestre/ ) , cioè siamo già in ritardo di un anno e hanno stabilito per 10 anni dopo l’obiettivo originario un obiettivo peggiore
ha ragione Greta, nessuna possibilità di avere soluzioni dai governi, la rivoluzione è solo nelle nostre decisioni
Purtroppo solo noi possiamo lasciare un impronta che ci porti ad emissioni zero, i governi non faranno nulla si sa e si è visto, purtroppo o per parte sono schiacciati dalle lobby, e noi continuiamo a dargli man forte, dovremmo imporci ad acquistare prodotti ad impatto zero o per lo meno puntare a quello, quindi una nuova etichetta dove venga dichiarato l’originale e quanta CO2 viene prodotta per produrre quel prodotto e anche visto che ci siamo anche chi viene sfruttato per produrlo, quindi un prodotto a impatto zero e prodotto eticamente, lo so che è utopia ma siamo noi che decidiamo il mercato con le nostre azioni quotidiane.