Clima, sentenza storica: “Stati e aziende responsabili per le emissioni”

La Corte internazionale di giustizia (ICJ) ha riconosciuto il cambiamento climatico come una “minaccia esistenziale” e ha chiarito obblighi e responsabilità degli Stati, e per estensione anche delle aziende. Il parere della Corte, seppur non vincolante, avrà con tutta probabilità il suo impatto nelle cause sul clima in tutto il mondo. Tutto questo all’indomani della decisione della Corte di Cassazione secondo cui la causa di cittadini e associazioni ambientaliste contro Eni può essere discussa davanti al Tribunale ordinario.

La Corte internazionale di giustizia ha emesso un parere storico che riconosce il cambiamento climatico come una minaccia esistenziale. Secondo il parere della Corte dell’Aia, pur non vincolante, gli Stati – e di riflesso anche le imprese – hanno obblighi chiari in tema di riduzione delle emissioni e risarcimento dei danni già prodotti. Il pronunciamento arriva a seguito di un’iniziativa globale partita dal Pacifico e sostenuta da oltre 1.500 organizzazioni.

Una svolta giuridica che coincide con una battaglia legale tutta italiana, dove per la prima volta un colosso energetico come Eni potrà essere giudicato da un tribunale ordinario per il suo ruolo nella crisi climatica. È la conferma che la giustizia climatica non è più un’utopia, ma una strada percorribile.

Il verdetto dell’Aia: “Clima: chi inquina, risarcisca”

Nel suo parere, la Corte internazionale ha chiarito che gli Stati sono responsabili se non prendono iniziative nella riduzione delle emissioni per la difesa del “clima”.. Il fatto può configurare una violazione del diritto internazionale. Il giudice Iwasawa Yuji ha affermato che anche attività indirette, come la concessione di sussidi ai combustibili fossili, possono essere considerate atti illeciti.Gli Stati responsabili hanno l’obbligo di risarcire i danni, laddove la restituzione sia impossibile”, ha dichiarato.

Il parere riafferma anche la centralità della scienza climatica e l’obbligo per gli inquinatori storici di agire. In questo senso, il documento potrebbe influenzare in profondità le controversie legali ambientali in tutto il mondo. E fa il paio con un pronunciamento arrivato dall’Europa solo pochi giorni fa.

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Clima: la causa partita da Vanuatu e arrivata all’ONU che all’unanimità ha deciso di sottoporre la questione alla Corte di giustizia

Il parere della Corte nasce da un’iniziativa senza precedenti partita nel 2019 da un gruppo di studenti di diritto dell’Università del Pacifico meridionale. Insieme al governo di Vanuatu (na nazione nel Sud Pacifico composta da circa 80 isole che si estendono per 1300 km) e alle organizzazioni giovanili PISFCC e WYCJ, sono riusciti a ottenere un voto unanime alle Nazioni Unite per sottoporre la questione alla Corte dell’Aia. Un esempio di come la mobilitazione dal basso possa incidere sulle più alte sfere del diritto internazionale.

Elisa Morgera, Relatrice speciale ONU sui cambiamenti climatici, ha parlato di “una nuova era di responsabilità”, sottolineando come l’ambiente sano sia oggi riconosciuto parte integrante dei diritti alla vita, alla salute e alla dignità.

La causa contro Eni: svolta italiana nelle aule di giustizia

Quasi in parallelo con il parere dell’Aia, la Corte di Cassazione ha stabilito che il procedimento contro Eni intentato da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadini potrà proseguire davanti al Tribunale di Roma. Una decisione che apre ufficialmente la strada alle “cause climatiche” anche in Italia.

Nel merito, le associazioni accusano Eni e i suoi principali azionisti pubblici (Ministero dell’Economia e Cassa depositi e prestiti) di aver contribuito alla crisi climatica attraverso le attività nei combustibili fossili. Il Tribunale ordinario aveva inizialmente sospeso il procedimento, ma ora la Cassazione ha confermato la giurisdizione italiana e la legittimità del contenzioso.

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Una causa senza precedenti e la reazione di Eni

Si tratta della prima causa climatica in Italia contro una società privata. Per ReCommon e Greenpeace si tratta di “un pronunciamento storico”. “Chi inquina deve rispondere delle proprie azioni – hanno dichiarato – Nessuno, nemmeno un colosso come Eni, può più sottrarsi alle responsabilità”.

Secondo le due associazioni, la decisione potrà influenzare anche altre cause in corso, rafforzando il legame tra diritti umani e obblighi ambientali. Un legame già riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nell’aprile 2024, quando accolse in parte il ricorso di un gruppo di donne svizzere contro il proprio Stato per inazione climatica.

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Giudici italiani competenti anche per danni all’estero

Importante anche un altro passaggio dell’ordinanza della Cassazione: i giudici italiani possono esprimersi anche su attività di aziende estere controllate da Eni, qualora i danni abbiano prodotto effetti in Italia o siano il frutto di decisioni prese dalla sede centrale.

Nel contesto della causa, va ricordato che Eni ha risposto con una querela per diffamazione contro Greenpeace e ReCommon, accusandole per la loro campagna di sensibilizzazione pubblica. E come reazione alla sentenza della Cassazione ha dichiarato in una nota diffusa dalla Rai: «Finalmente si potrà riprendere il dibattimento innanzi al tribunale di Roma dove saranno smontati i teoremi infondati di Greenpeace e ReCommon sulle fantasiose responsabilità per danni attribuibili ad Eni relativi ai temi del cambiamento climatico, in un contesto rigoroso e rispettoso della legge».

Anche se va detto che erano stati i legali di Eni a contestare che la causa potesse essere discussa davanti a un tribunale ordinario. E aveva anche presentato causa per diffamazione contro le associazioni ambientaliste. Ma negando che fosse una operazione per tacitare le loro campagne.

Visualizza commenti (2)
  1. Entrambe le sentenze, sia quella internazionale sia quella italiana, sono estremamente importanti e costituiscono un precedente che fa da pietra miliare per il prosieguo della transizione. L’obiettivo è quello di spingere sempre più le big oil a convertire i propri investimenti e a modificare i piani industriali a favore di soluzioni energetiche sostenibili, scoraggiando la ricerca e peggio ancora la pianificazione di nuosi siti estrattivi di petrolio e gas. Penso alla recentissima notizia della scoperta di un grande giacimento di petrolio nel mar baltico, al largo della Polonia, a soli 6 Km dalla costa, che avrebbe notevole impatto ambientale. La UE non può restare a guadare, stiamo combattendo col coltello tra i denti per la transizione e poi lasciamo perforare ed estrarre petrolio davanti casa?

  2. Edwin Abbott

    ENI dovrebbe ingaggiare Luttazzi per controbattere, come Yomo fece con Grillo per la pubblicità.

    Altrimenti finirà a cercare di fare smettere di parlare dei danni, come Trump cerca disperatamente di fare smettere tutti di parlare di Epstein.

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