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Agrivoltaico virtuoso: 1,06% del suolo agricolo Ue per 944 GW

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Impianto agrivoltaico nei vigneti Caviro in Emilia Romagna

Basta l’1,06% della superficie agricola utilizzata (SAU) dell’Unione Europea per raggiungere una capacità fotovoltaica installata di 944 GW entro il 2030. Quasi il doppio dell’obiettivo di 590 GW fissato. Questi i numeri da far leggere a chi sta affossando l’agrivoltaico in Italia.

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il limoneto 4.0 con i pannelli sopra le piante

Le fake news sul consumo del suolo e la perdita di biodiversità

I numeri che abbiamo citato sono quelli elaborati dal Joint Research Centre della Commissione Europea che danno le giuste misure del fenomeno.

I dati sono stati presentati nei giorni scorsi durante un convegno promosso da Anie Confindustria dal titolo La giornata dell’agrivoltaico: l’impatto del DLGS Testo Unico FER e del DL Ambiente, che si è svolto il 28 novembre a Roma.

Abbiamo visto i numeri europei. Ora quelli italiani. Con un altro studio. Firmato da Althesys sul potenziale di sviluppo che vede un obiettivo di circa 22 GW di capacità installata entro il 2030, pari al 58% degli impianti a terra previsti dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC).

In termini di terreno agricolo si traduce nella realizzazione di impianti su circa 40.000 ettari. Una superficie che rappresenta solo l’1% della superficie agricola totale.

bando agrivoltaico
I pannelli nel vigneto agrivoltaico pugliese

Troppo? Bisogna considerare che non si tratta di cementificare, ma di installare moduli amovibili che non implicano una trasformazione definitiva del territorio.

Ma soprattutto l’agrivoltaico è possibile solo con un piano agronomico, ovvero in simbiosi con la produzione agricola sia nel modello avanzato – con l’impianto che deve rispettare una distanza da terra prestabilita – che nel cosiddetto tipo 2 ovvero con i pannelli a terra ma distanziati per permettere la coltivazione interfilare.

Una modalità bocciata dal Dl agricoltura ma come ha sottolineato l’anno scorso a Vaielettrico da  Alessandra Scognamiglio – presidente di Aias (Associazione italiana agrivoltaico sostenibile) – permette in terreni residuali  con produzioni a scarso valore aggiunto di aprire una nuova fonte di reddito ed evitare la già imponente fuga dalle campagne degli imprenditori agricoli (leggi qui).

Un impianto fruttivoltaico in Olanda per la coltivazione dei piccoli frutti

L’agrivoltaico migliora la resa e la qualità della produzione agricola

Decisamente più interessante l’agrivoltaico avanzato e dinamico seppur non applicabile a coltivazioni estensive come il frumento (leggi la nostra intervista ai francesi di Sun’Agri che vantano un’esperienza di oltre 15 anni in Francia con impianti agrivoltaici installati su 22 siti già in produzione a cui si sommano 40 progetti in cantiere) ma ideale per frutteti e vigneti.

Ricordiamo che per via dei cambiamenti climatici i frutteti devono essere protetti – lo è già il 15% di quelli dell’Emilia Romagna e c’è bando da ben 70 milioni sul tema – dalla troppa acqua e dal troppo sole.

Il dato si traduce anche in tecnologia di miglioramento della qualità della produzione frutticola ovvero la resa qualitativa sarà più alta.

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Un’installazione di agrivoltaico (credit foto: Enel Green Power).

Tema affrontato anche durante il convegno di Anie. Uno studio di Althesys evidenzia un saldo positivo. «A fronte di una perdita di superficie coltivabile – e di correlati contributi PAC – stimabile in circa lo 0,08% della SAU nazionale, l’aumento contestuale delle rese agricole – a seguito della presenza dei pannelli sopraelevati che porterebbero risparmio idrico, ombreggiamento e microclima – compenserebbe il minor uso del suolo, contenendo la perdita di produzione a 44 milioni al 2030. A questi andrebbe aggiunto il reddito di oltre 320 milioni di euro derivante dall’affitto dei terreni».

Traduciamo: l’impianto agrivoltaico mangia un po’ di terreno, essendo comunque un’ opera edile con strutture non leggerissime, a svariati metri di altezza, e necessità di un solido ancoraggio. Tuttavia la compensazione arriva con frutti più belli: meno cotti se non ustionati dal sole e meno attaccati dall’acqua e quindi dalle malattie.

A cui si somma il risparmio idrico – non meno importante delle emissioni climalteranti – e dei trattamenti fitosanitari. In altri termini è una coltura più pulita e meno impattante.

Ottima convivenza tra pecore e impianto agrivoltaico (Immagine tratta dal sito ufficiale di Enel Green Power).

L’agrivoltaico demonizzato nonostante la simbiosi con la produzione agricola

Nei giorni scorsi abbiamo scritto della bocciatura del più importante progetto di agrivoltaico italiano insieme a un altro da 80 ettari. Entrambi programmati in Sardegna (leggi qui).

Il fermo all’installazione è arrivato  da una commissione ministeriale dedicata alla VIA – la valutazione di impatto ambientale – con il sostegno della Regione Sardegna.

Un aspetto inquietante sono le parole dell’assessora sarda che ha  rivendicato la bocciatura con la difesa del suolo e della biodiversità. Peccato che gli studi scientifici parlino di simbiosi tra produzione agricola, ma anche zootecnica (gli animali possono brucare sotto i pannelli) ed energetica senza conseguenze sulla biodiversità.

Nonostante l’opposizione – diffusa in tante regioni italiane – l’agrivoltaico cresce.

Parlano i numeri del bando Pnrr: oltre 920 milioni richiesti, 643 progetti presentati per una potenza complessiva di oltre 1,7 GW. Senza dimenticare che nel 2023 quella agrivoltaica è stata comunque la tecnologia cresciuta in modo più sostenuto, contando progetti per quasi 16 GW.

Macchine al lavoro in un campo agrivoltaico

Gli ostacoli burocratici che limitano lo sviluppo dell’agrivoltaico

Oltre le opportunità per il comparto, il convengo di Anie ha sottolineato gli ostacoli alla diffusione dell’agrivoltaico «a partire da una regolamentazione complessa che regola l’uso del suolo per la produzione di energia».

In alcune aree le normative locali possono limitare l’installazione di impianti fotovoltaici su terreni agricoli, se vengono considerati come cambi di destinazione d’uso, il che richiede procedure burocratiche lunghe e costose.

Gli operatori energetici chiedono anche «l’introduzione di una definizione normativa chiara di cosa si intenda per “impianto agrivoltaico”».

In particolare «non esiste una configurazione migliore di un’altra e in funzione delle tipologie di colture previste dal piano agronomico si individua la configurazione ottimale, in un necessario percorso di coprogettazione agronomica e fotovoltaica».

Se con l’agrivoltaico settore primario ed energetico possono operare in simbiosi, le rinnovabili offrono interessanti ricadute economiche. «Secondo le analisi condotte da Anie Confindustria e dal Politecnico di Milano, si stima che il settore del fotovoltaico e dell’eolico abbiano generato circa 10 miliardi nel 2023».

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Le aziende possono alimentare i veicoli con l’energia auto prodotta

Nei prossimi anni «gli investimenti per lo sviluppo della filiera delle energie rinnovabili (FER) tra il 2024 e il 2030 potrebbero variare tra i 45 e i 90 miliardi, a seconda dello scenario di crescita delle FER, con un potenziale occupazionale che potrebbe arrivare fino a 100.000 addetti, una espansione che beneficerebbe, in particolare, del percorso espansivo dei segmenti fotovoltaico ed eolico onshore e offshore».

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Un impianto agrivoltaico di Enel Green Power in un vigneto in Sicilia.

Un fatturato da rinnovabili pari a 9,8 miliardi per l’industria italiana

Nel 2023 l’industria italiana delle Energie Rinnovabili ha registrato un fatturato aggregato pari a 9,8 miliardi, di cui circa 3,3 miliardi di esportazioni.

«Lo sviluppo delle energie rinnovabili è un passaggio fondamentale verso l’indipendenza energetica, un traguardo essenziale per garantire al nostro Paese sicurezza, stabilità economica e sovranità nelle decisioni strategiche». Parole di Filippo Girardi, presidente di ANIE Confindustria.

«L’agrivoltaico non è solo un tema, ma una sfida peculiare che coinvolge profondamente il nostro Paese, le nostre imprese e i nostri territori» ha dichiarato Andrea Cristini, presidente di ANIE Rinnovabili.

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10 COMMENTI

  1. == agrivoltaico tipo 2

    cioè file di pannelli relativamente bassi,
    in 40.000 ettari ci stanno anche 40 GW..
    cioè 1 ettaro di pascolo ospita 1 MW di fotovoltaico,
    e costava anche poco da installare, 600-700e a KW,
    banali sostegni in ferro zincato conficcati a terra,
    ritorno dell’investimento in 6 anni, anche una piccola quota avrebbe fatto la fortuna di tante aziende agricole in difficoltà;
    praticamente la soluzione migliore a più problemi

    è stato quasi vietato del tutto del ministro Lollobrigida con il DL agricoltura di primavera scorsa, su sollecitazione del consorzio formatosi nel 2021 con ENI / Bonifiche Ferraresi / Coldiretti, che non vogliono che il prezzo energia scenda in Italia, e che gli agricoltori abbiano una fonte di reddito infinitamente migliore e più redditizia che farsi comandare con i contratti da fame per le colture da biodiesel

    == fotovoltaico utility

    oltre all’agrivoltaico tipo 2, c’è il “gemello” fotovoltaico utility, senza obbligo di coltivazione o pastorizia tra le file dei pannelli, e con possibilità di avvicinare di più tra loro le file,
    ma è ancora più ostacolato al momento, l’iter di approvazione è reso lungo e difficile, salvo su aree particolari

    == agrivoltaico tipo 1

    rimane l’agrivoltaico a pannelli alti, più costoso, meno denso come potenza per ettaro, strutture più visibili, ritorno investimento non così facile, con rientro a circa 10 anni, in pochi lo faranno senza incentivi, ne verrà installato molto meno

    == risultato malevolo del DL agricoltura e DL aree idonee

    i prezzi energia italiani ancora restano alti, ENI incassa su metano e petrolio, poi ogni anno crescono anche i campi di biodiesel (densità di energia ricavabile per ettaro 1/100 del fotovoltaico), e si continua a cementificare terreni (70.000 ettari cememtati ogni 10 anni in Italia) per ricavarne quel valore economico che gli si poteva dare invece facendogli ospitare del fotovoltaico o agrivoltaico e preservando sia i terreni che l’azienda agricola proprietaria

    cioè quest’anno tra FT sui tetti e grandi mpianti a terra utility o agrivoltaici, verranno installati 7,5 GW, nel 2025 saranno circa quasi altrettanti, ma avrebbero potuto essere 15 o 20 GW visto il boom di progetti che sono stati stoppati in corsa dal DL agricoltura

  2. === pensiamo in piccolo o in grande?

    i programmi PNIEC capisco che sono al 2030, ma puntare a 40-50 GW di fotovoltaico è molto “ideologicamente al ribasso”, “obsoleto” rispetto agli scenari concreti attuali, in cui le rinnovabili sono diventate più energeticamente dense ed economiche, potremmo imitare altri paesi e fare prima, e per l’agrivoltaico tipo 2 senza usare incentivi, con effetti fenomenali tipo Spagna su prezzo energia e stimolo all’economia diretta e indotta

    aggiornando le simulazioni per l’Italia, con le specifiche tecniche attuali delle rinnovabili, il 100% rinnovabile con indipendenza energetica è diventato relativamente banale, ora anche con poco impegno di spazio

    al 2045, volendo stare larghi a ricavare 750 TW-h annui,
    per alimentare consumi netti nazionali di 500 TWh annui,
    si potrebbe parlare da noi di circa 200-240 GW di fotovoltaico utility, tradotto sono 800-1000 km2 di pannelli, più altrettanti di spaziature tra i pannelli, dati alla mano è poca superfice, nessuna invasione particolare, anzi magari ben integrabili a favore e reddito delle aziende agricole

    più altri 110 GW di fotovoltaico sui tetti di case, capannoni e parcheggi; il potenziale suit tetti è molto di più ma sui tetti è più lento e meno economico e più scomodo da realizzare, realisticamente solo una modesta frazione dei tetti verrà usata

    oltre a quote di eolico su terra, anche quasi solo revamping dei siti esistenti, fermarsi a 30 GW), e a seguire 40 GW di eolico off-shore, oltre all’idroelettrico già presente e alle altre rinnovabili

  3. i vari studi a dimostrazione dell’utilità dell’abbinamento agricoltura + fotovoltaico sono sempre più numerosi e convergenti.

    mi lascia l’amaro in bocca leggere sul report di ISME il termine “persi 400 ettari di suolo agricolo” che fa pensare a chi legge solo i titoli che sia stato rovinato qualcosa per sempre (o quasi, come con una raffineria o centrale nucleare) quando invece nel testo riportano molto più correttamente la frase “Il fenomeno, che implica un effettivo consumo di suolo agricolo ma che, a differenza della cementificazione, non assume carattere irreversibile” che fa comprendere che è un uso “a termine” dopo il quale si può tranquillamente ripristinare l’uso agricolo/forestale; anzi io sottolineerei che i FV in terreni (marginali o agricoli) evitano invece usi peggiori delle superfici, con conseguenti rischi per l’impermeabilizzazione dei suoli in modo permanente.

    A volte anche la comunicazione andrebbe curata un po’ di più per non accendere animosità locali o sul web

    fonte: https://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/13236 (riportata anche su ANSA 2030 con un titolo ugualmente allarmistico…ma chi non legge solo quello trova correttamente il riferimento alla ripristinabilità dei luoghi )

    • Si infatti gli ho scritto – ancora senza risposta – per capire come mai abbiano dato una comunicazione dove si fa il titolo sul 9% di consumo di suolo; per di più senza specificare se in questo 9% è compreso l’agrivoltaico

      • La base delle fake news e dei complottisti e no-watt è sempre la comunicazione superficiale e distorta..
        Sia ANSA che ISMEA dovrebbero fare attenzione; speriamo stiano più attenti in futuro.

        • Andrebbe data invece molta più enfasi all’ esagerato consumo Definitivo di suolo con nuove edificazioni quando esistono ovunque aree già compromesse cementate o addirittura coperte con edifici inutilizzati e spesso pure degradati… Quello dovrebbe scandalizzare e preoccupare…a maggior ragione proprio ora che siamo soggetti a devastanti alluvioni stagionali..

          • il dato 2023 per la cementificazione di terreni in italia è +72,5 km2 all’anno,

            ogni 10 anni sono 72.500 ettari di terreni persi (letteralmente)

            chiaro invece di cambiargli destinazione d’uso e cementarli, sarebbe preferibile dare valore economico ai terreni agricoli ora economicamente marginali (=quelli dove è possibile ma di fatto non conviene economicamente coltivare) con fotovoltaico a terra, cioè su prato, o con agrivoltaico a pannelli bassi su pascolo

            a me fa accapponare la pelle Coldiretti che invece finge di non capire, e anzi rema contro l’agrivoltaico, perché come gruppo Bonifiche Ferraresi si sono associati con ENI,
            gestiscono la rivendita dei carburanti agricoli e da autotrazione e in cambio spingono i contratti per coltivare colture da biodiesel (che paga una miseria, circa 1000e a ettaro all’anno, a cui togliere le spese per coltivarlo)

            1 ettaro con fotovoltaico invece renderebbe ad una azienda agricola di solo affitto circa 4000 euro all’anno, oppure almeno 12.000 euro l’anno se fanno direttamente loro l’impianto senza società intermediarie

          • Viste le problematiche legate ai disastri ambientali ricorrenti (siccità e inondazioni) non credo che produrre biocarburanti sarà minimamente sostenibile in Italia (oltre ad estensione terreni ridicola rispetto alle necessità ed in contrasto con soluzioni F.E.R. decisamente più convenienti). Temo che tra qualche anno Coldiretti si dovrà rendere conto dell’ errore di valutazione….
            ENI sicuramente troverà altrove fonti di approvvigionamento per le proprie bio_raffinerie (in Africa ? in Ucraina? ) perché non siamo il Brasile.

      • Buongiorno,
        in questi gg mi pare di aver visto in rete notizia di Coldiretti che a Cuneo vorrebbe ostacolare anche i pochi impianti fotovoltaici residui, anche non agrivoltaici, con la scusa che sono andati “persi” 179 ettari, non specificano persi in che modo, se campi con appogaiti sopra pannelli, o banale speculazione edilizia

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