Ci sono 3,7 milioni di ettari – su 16,5 classificati agricoli – abbandonati, non coltivati, marginali. E alcuni di questi possono rinascere agricoli grazie al fotovoltaico. Anche quello a terra che Lollobrigida vuole invece bandire. Su decreto agricoltura – su cui c’è già uno stop del presidente Mattarella – e agrovoltaico abbiamo sentito alcuni protagonisti della filiera. A iniziare da Alessandra Scognamiglio, presidente di Aias.

Mattarella tira il freno a mano al decreto Lollobrigida
In attesa del decreto agricoltura che non c’è – approvato in Consiglio dei ministri, ma circola una bozza e stanno già prendendo corpo alcune modifiche grazie allo stop che sta chiedendo il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – abbiamo indagato su quanto può essere vera la battaglia per salvare la terra dagli “avvoltoi” dei pannelli solari e quanto, invece, incidano calcoli politici e soprattutto elettorali. A poche settimane dalle elezioni europee.
Il decreto agricoltura in sintesi

Sulla base della bozza fatta circolare, anche per vedere l’effetto che fa, sarà vietato avviare nuovi impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra e aumentare l’estensione di quelli già esistenti, nelle zone classificate come agricole dai piani urbanistici.
Uno stop che salva gli impianti finanziati dal Pnrr – anche se il bando deve ancora arrivare – poi i progetti di agrovoltaico – qui come vedremo più avanti c’è tanta confusione – e quelli da realizzare in cave, miniere, aree in concessione a Ferrovie dello Stato e ai concessionari aeroportuali, aree di rispetto della fascia autostradale, aree interne ad impianti industriali.
Aree agricole lasciate a se stesse: 3,5 milioni di ettari non coltivati
Ma questa tanto sbandierata difesa del suolo vergine vede al contrario tante aree abbandonate. E prima dell’arrivo del fotovoltaico. Ci sono le aree agricole individuate e classificate come tali, ma dentro questo perimetro secondo i dati più recenti – fanno sapere da Alleanza per il fotovoltaico – “la superficie agricola nazionale è di circa 16,5 milioni di ettari ma soltanto 12,8 milioni di ettari sono effettivamente destinati alla produzione alimentare (seminativi, coltivazioni legnose, pascolo e orti familiari) mentre i restanti 3,5 milioni di ettari di superficie agricola sono incolti o abbandonati“.
Parliamo di milioni mentre sono solo 17mila gli ettari di superficie agricola attualmente occupati da impianti fotovoltaici. Calcolando anche quelli potenziali e necessari a raggiungere gli obiettivi 2030 non si va oltre ulteriori 80mila ettari circa. Siamo abbondantemente sotto l’1%: appena lo 0,6% della superficie agricola nazionale..
Il problema vero: la fuga dall’agricoltura dei giovani
La Commissione europea in uno studio ha evidenziato come solo il 5,6% delle aziende agricole europee sia condotto da imprenditori con meno di 35 anni, mentre il 31% è nelle mani di over 65. Vediamo questa statistica recente (novembre 2023 dell’Inps): “Il numero di aziende che occupano operai agricoli dipendenti è passato da 180.167 nel 2021 a 174.636 nel 2022, registrando, come lo scorso anno, un decremento pari a -3,1%; nel periodo 2017-2022 il numero di aziende con dipendenti è diminuito complessivamente del -7,1%“.
Senza dimenticare che a causa dei cambiamenti climatici e gli eventi estremi in una regione leader come l’Emilia-Romagna, la frutteto valley italiana, è andata persa circa il 90% delle produzioni di pere, circa l’80% delle dupracee e sono numerosi i castagneti finite sotto le frane – oltre 60mila quelle registrate durante l’alluvione – per non parlare delle problematiche dei kiwi e di altre colture. E il ministro Lollobrigida come denunciano gli agricoltori non ha ancora dato risposte in termini di ristori. Quasi zero euro.
Il dirigente della Regione Emilia-Romagna Valtiero Mazzotti – settore Agricoltura – nei giorni scorsi in un evento a Macfrut ha mostrato la gran perdita di resa per ettaro di alcune colture regionali. Terreni sempre più poveri e insidiati dai cambiamenti climatici.

I pannelli che salvano i terreni e le coltivazioni
Ricorre l’idea del fotovoltaico che allontana gli agricoltori dalla terra. Eppure il fotovoltaico anche nella sua versione a terra può salvare il fatturato delle aziende agricole e anche la loro sopravvivenza.
Abbiamo parlato del tema con Alessandra Scognamiglio, presidente di Aias (Associazione italiana agrovoltaico sostenibile), anche per capire bene il mondo largo del mondo agrovoltaico.
Iniziamo con lo specificare tre categorie differenti:
-il tipo 1 prevede moduli elevati da terra con un’altezza che permetta il pascolo e l’allevamento sotto gli stessi;
-il tipo 2 prevede moduli la cui altezza non prevede lo svolgimento di attività sotto di essi. Si tratta sostanzialmente di moduli a terra ma installati però in modo da lasciare degli spazi interfilari dove sviluppare attività agricole;
-infine il tipo 3Â prevede i moduli con sviluppo verticale e organizzati in file per ridurre l’occupazione del suolo.

Con la presidente Alessandra Scognamiglio vediamo il caso del tipo 2 ovvero con l’uso di moduli a terra: “Il problema più della tipologia scelta è se l’impianto viene fatto bene o male. Può esistere anche agrovoltaico dinamico, innovativo ma impattante. Sul tipo 2 in determinate condizioni si può ottenere un segno positivo. Un agricoltore con un terreno povero, poco fertile, dedicato a coltivazioni marginali attraverso la condivisione con moduli fotovoltaici anche a terra che lasciano spazi interfilari agricoli può avere un’integrazione di reddito dall’energia ma anche la valorizzazione della produzione che alla fine producono un effetto positivo“. Il terreno non si abbondona, viene coltivato e preservato.
L’approccio ideologico di Lollobrigida
Chiaro che se l’approccio ideologico del ministro Lollobrigida domina si rischia pure di fare danni anche nell’agrovoltaico che è un insieme di tecnologie diverse.

Serve concretezza contadina. Ben espressa dal segretario nazionale del Consiglio nazionale dei periti agrariMarco Cherubino Orsini che ci dice: “Il contadino non è mai stato solo contadino ha avuto anche il maiale, la mucca e assolto altre funzioni per integrare il reddito. E’ sempre stata una conduzione multifunzionale. In un’azienda agricola ci sono anche scarpate di nessun valore agricolo soprattutto oggi dove è importante il costo della manodopera“.
Insomma ci sono aree marginali e non coltivate perché si va in perdita ad investire che potrebbero essere utilizzate per la produzione di energia. E con le entrate favorire la permanenza dell’agricoltore, pensiamo alle aree di montagna e di collina, e permettere così un presidio attento contro le problematiche per esempio idrogeologiche. In questo modo si pratica la manutenzione del territorio e si mitigano frane e altri eventi negativi.
Va bene , anzi benissimo l’agrovoltaico, ma attenzione come ha sottolineato il docente universitario Luca Corelli Grappadelli: “I dati che sono stati mostrati dai ricercatori impegnati sul lato ecofisiologico sono in chiaroscuro. Da un lato la fotosintesi non subisce penalizzazioni, e sono possibili risparmi idrici fino al 50% grazie alla riduzione del carico radiativo, ma aspetti legati alla qualità del frutto possono essere a volte penalizzati“.
Se l’agrovoltaico va bene per il nocciolo, è negativo per il mandorlo. E’ interessante per integrare il reddito ma come dicono gli addetti del settore, come ci racconta Dario Mapelli di Eco Fotovoltaico, deve essere sartoriale. A seconda delle esigenze agronomiche aziendali. A ognuno secondo la sua coltura, ma anche il suo sole (irraggiamento), terreno e capacità finanziaria.
Purtroppo ai politici italiani non piacciono i numeri, sono così rigidi, danno soluzioni spesso ottimali e univoche.
Al politico piace poter cambiare idea all’occorrenza, come una banderuola, per salvarsi la poltrona.
Tanto poi basta far fabbricare ai centri studi di questa o quella lobby un report con numeri aggiustati e via che si ricomincia.
I terreni non coltivati li tiene da parte per i biocarburanti.
Peccato che con 1 mq coltivato per biocarburante in un anno fai 7-8 km, mentre con un mq di fotovoltaico nel fai tra i 500 e gli 800.
Giusto, far coltivare per altri carburanti a resa ridotta. Senza dimenticare il bilancio energetico: anche la colza ha bisogno di acqua che ha bisogno di energia per essere distribuita. E poi “durante la fase di semina è buona norma distribuire fosforo in modo localizzato”. E poi altri interventi chimici perchè la colza mica viene su da sola. E deve venire bene perchè poi mica la raccogli con la false ma con macchine trebbiatrici. Insomma sembra una fregatura.
ma da uno che dice che 12 euro al litro per l’olio sono pochi
cosa vi aspettate ?
https://www.youtube.com/watch?v=_-e3a9sPfkY
mi sa che il litro di vino è durato 10 minuti anche per l’agrivoltaico
Titolo do studio del ministro: cognato.