Scatta l’operazione Cina di Elon Musk e della sua Tesla che il 10 maggio scorso ha registrato ad Hong Kong una nuova società di diritto cinese con 15 milioni di dollari di capitale. Ma guardano ad Oriente anche Nissan e Renault siglando un accordo con il produttore cinese di batterie per auto Contemporary Amperex Technology (CATL) per equipaggiare una nuova gamma di auto elettriche prodotte direttamente nel Paese asiatico.
Gigafactory fa il bis a Shanghai
L’oggetto sociale della società cinese appena creata da Tesla comprende produzione, assemblaggio e progettazione di auto elettriche e componenti relativi; ma gli esperti ritengono che l’obiettivo vero sia la costruzione di un clone della Gigafactory americana, una sorta di replica della colossale fabbrica del Nevada che rifornisce di pacchi batteria l’intera produzione dell’azienda automobilistica californiana. La documentazione depositata ad Hong Kong è stata sottoposta all’autorizzazione dell’ente che sovrintende la free-trade zone di Shanghai, il che fa supporre che sarà proprio la seconda città cinese ad ospitare l’imponente struttura.

Di una replica con gli occhi a mandorla della Gigafactory aveva parlato proprio il fondatore Elon Musk durante la presentazione dei risultati del primo trimestre 2018. Peraltro da mesi l’ambiente speculava sulla sbarco in Cina di Tesla, frenato soltanto dalle nubi di tempesta sui rapporti commerciali fra Pechino e l’amministrazione Trump. Washington ha poi varato una serie di misure protezionistiche nei confronti delle importazioni cinesi, ma non ha toccato il delicato tema della proprietà intellettuale e del trasferimento tecnologico, vero ostacolo alla campagna cinese di Musk. Nell’oggetto sociale della nuova società di Hong Kong, infatti, si esplicita il “trasferimento di tecnologie” rispetto all’auto elettrica, ai pannelli fotovoltaici e ai sistemi di accumulo come da tempo chiede il governo di Pechino per far sì che l’arrivo degli investitori occidentali non porti semplicemente posti di lavoro, ma anche know how nel cruciale settore della mobilità elettrica che rappresenta una delle direttrici di sviluppo prioritarie nella strategia industriale del governo. A questo scopo Pechino pretendeva la presenza di un partener locale per ogni investimento straniero. Recentemente, però, ha annunciato di aver rimosso questo vincolo.
Tesla è già presente sul mercato cinese, dove l’anno scorso ha raddoppiato le sue vendite raggiungendo i 2 miliardi di dollari, nonostante i pesanti dazi del 25% che penalizzano tutte le auto di produzione straniera. Tuttavia ritiene di avere ampi spazi di crescita, soprattutto con il lancio cella Model 3, che a questo punto potrebbe essere assemblata e anche in parte prodotta a Shanghai aggirando i dazi, e quindi messa sul mercato a prezzi competitivi rispetto alla emergente produzione delle aziende nazionali.
Nissan e Renault scelgono le celle CATL
Anche Nissan e Renault, come riporta il giornale economico giapponese Nikkei, cercano produttori interni per aggredire il mercato cinese con modelli dedicati. Nissan, per esempio, ha presentato il nuovo Sylphy Zero Emissioni basato sulla Leaf,, mentre Renault dovrebbe produrre in Cina un van elettrico derivato dal Kangoo ZE. Secondo le norme imposte da Pechino ogni casa automobilistica presente sul mercato cinese dovrà vendere almeno il 10% di veicoli EV (in Cina sono definiti ZEV) e la quota dovrà salire al 12% etro il 2020.
CATL in pochi anni ha raggiunto uno stand di rilievo nel settore delle batterie agli ioni di litio con tecnologia Litio-Ferro-Fosfato e fornisce celle prismatiche a molti costruttori di autobus elettrici e di auto ibride plug in. Ha già firmato un importante contratto di fornitura per la ex Saab, ora NEVS, e si parla anche di contatti con Apple.
Oggi dispone di una capacità produttiva di oltre 17 GWh ma ha in programma di salire a 24 GWh entro il 2020. Per finanziare questa crescita è in procinto di presentarsi sul mercato dei capitali con una Ipo da 2 miliari di dollari.
Ho letto una breve analisi storica di Narinder Purba sul passaggio dalle carrozze a cavalli alle automobili. Pare di capire che, anche allora, il “motore” del cambiamento sia stata la convenienza in senso lato, non solo economico, del nuovo mezzo rispetto ai cavalli. Più comodo, più fruibile, più divertente e meno costoso.
Se “sporcano, puzzano, fanno rumore e costa un occhio mantenerli” si poteva applicare ai cavalli, mi pare che giudizi simili di possano dare delle automobili con motore a combustione interna. Se è vero che i veicoli elettrici non sporcano, non puzzano, non fanno rumore e si risparmia fino all’80% rispetto ai veicoli tradizionali (così dice Siemens dei traghetti).
Confrontando tra loro le pubblicità attuali dei veicoli tradizionali, si intuisce che quelli del marketing, consapevolmente o imbeccati dai committenti, tendono a glissare, se non a nascondere del tutto il fatto che siano veicoli che bruciano qualcosa e che poi liberano nell’aria che respiriamo i veleni residui della combustione. Puntano tutto appunto su quanto siano piacevoli, divententi, “moderni” da guidare e possedere. Come se temessero da un giorno all’altro un fenomeno a valanga come quello avvenuto a inizio secolo scorso.
Sulla carenza di infrastrutture, non sono così pessimista. Sia l’Istat, sia voi giornalisti del settore, dovreste iniziare a contare come colonnine di ricarica anche tutti i “garage privati dotati di spina 220V”, come fa il Giappone. La maggior parte delle persone, per la maggior parte del tempo dell’anno, fa la spola tra casa e lavoro. Quindi anche con una sola notte di ricarica (8h) limitata al 33% dell’utenza più diffusa in Italia (1kW), con una Smart Fortwo ED, si possono fare quasi 70 km (ho usato dati di efficienza pubblicati da EV-Rater.com).
Il vero freno alla diffusione più ampia, mi pare invece essere il costo iniziale e soprattutto la disponibilità.
Sono d’accordo sul fatto che i clienti ci sarebbero, ma manca il prodotto. Faccio due esempi: il Model 3 ha una lunga lista d’attesa in tutto il mondo (Italia compresa), ma la Tesla non riesce a soddisfare le richieste per i i problemi che ha in produzione. Diciamo la verità: un po’ tutte le Case si stanno attrezzando, ma una vera gamma ci sarà solo a partire dal 2020. Tra due anni anche la rete di ricarica sarà più capillare (oggi devi avere la disponibilità di rifornire a casa o in azienda) e sarà tutta un’altra storia.
La Gigafactory 1 – dove Panasonic fabbrica le batterie 21700 che Tesla assembla nei pacchi batteria che vanno nel pianale del Modello 3 – si trova in Nevada, vicino a Reno, non a Fremont, in California, dove invece Tesla ha lo stabilimento di assemblaggio finale di tutti i suoi veicoli.
La quota del 10% di nuovo elettrico venduto in Cina entrerà in vigore solo nel 2019. Al momento non c’è alcuna quota, né alcuna sanzione. Tale quota salità al 12% nel 2020.
Giustissimo Emanuele, grazie per la segnalazione. Ma cosa ne pensa della nova sfida cinese?
Con circa 1.450.000 morti su complessive 9.750.000 (stime per l’anno 2015) dovute all’inquinamento dell’aria – 4000 persone al giorno – Beijing sembra aver fatto di necessità, virtù.
Strategia che di solito non riesce in Italia e in Europa. Noi siamo più interessati all’uscita dalla zona euro che ai 250 morti al giorno per l’aria avvelenata. Infatti in Italia il primo trimestre 2018 mostra un aumento delle vendite dei diesel.
Non è escluso che CATL, oltre ai soldi derivati dalla vendita di parte delle sue quote, riesca anche ad attirare chimici e fisici da oltre confine che trovino la soluzione al problema delle batterie. Per il poco che ne capisco, però, il traguardo dei 400Wh/kg è lontano almeno 5, se non 10 anni.
Più che il mercato interno, che seguirà l’evoluzione progettata dal Governo, sembra interessante l’effetto che la produzione di massa di componentistica per la mobilità elettrica avrà su tutte le filiere che, partendo da là, finiscono in prodotti finali o servizi realizzati nel resto del pianeta.
Azzardo un’ipotesi: a lanciare l’auto elettrica anche da non sarà né la convenienza economica, né una razionale valutazione del danno ambientale. Sarà, come spesso avviene in un paese fatuo e sazio come il nostro, soltanto la moda. Per il resto non sono ottimista: leggo nel programma del governo nascente vaghi proclami sull’economia green e circolare, ma intanto la promessa di un taglio alla benzina di 20 centesimi al litro e l’impegno a bloccare la Tav che, voglio ricordare, in Italia ha già tolto dalle autostrade milioni di auto e migliaia di voli. E presto, con l’avvio dell’Alta capacità merci, anche centinaia di migliaia di camion. Ma che logica è questa?
Sull’evoluzione delle batterie penso che le sue stime siano corrette. Ma forse è più importante una capillare rete di stazioni di ricarica, piuttosto che un’autonomia da 500-600 chilometri. Quanto alla Cina, mi pare che l’obiettivo di diventare il Paese leader nelle nuova tecnologia dell’auto elettrica sia esplicito.